Recensioni - Opera

Bologna: Fidelio nella DDR

L’unica opera di Beethoven al Teatro Comunale in un’edizione firmata dal regista Georges Delnon

Tema fondamentale di Fidelio di Ludwig Van Beethoven, oltre alla fedeltà coniugale, è sicuramente quello della libertà: Florestano viene incarcerato da Don Pizarro per averne contestato la politica e viene salvato dalla condanna a morte solo grazie all’intervento della moglie Leonore che, travestita da uomo, ovvero Fidelio, riesce ad introdursi nelle carceri per liberarlo.
Georges Delnon, il regista che ha firmato per l’opera di Amburgo questo nuovo allestimento ripreso al Teatro Comunale di Bologna in apertura delle celebrazioni per il duecentocinquantenario dalla nascita del musicista di Bonn, ha trasferito questa vicenda di libertà universale nell’epoca della Repubblica Federale Tedesca.

Rocco il carceriere, redige e raccoglie una notevole quantità di dossier relativi a prigionieri politici che si materializzano fisicamente all’interno del suo archivio, che viene così trasformato in carcere. All’interno di questo armadio-prigione incontriamo Florestano, anche lui dotato di macchina da scrivere che, supponiamo, utilizzi per redigere inni alla libertà. Probabilmente le stesse frasi di Heiner Müller e Georg Büchner che nei cambi scena vengono proiettate sul sipario nero a proscenio. Marzelline, innamorata di Fidelio, e per buona parte dello spettacolo in abito da sposa, a rimarcare le sue vere intenzioni, deve subire il corteggiamento maldestro di Joaquino ed i soprusi di Don Pizarro che, ad un certo punto, sembra quasi voler esercitare su di lei una sorta di jus primae noctis. Tutto si svolge all’interno dello stesso ambiente, una grande sala arredata in modo dimesso e caratterizzata da un’ampia vetrata che si affaccia su un bosco nel quale appaiono alcuni animali e da cui nel finale entra il coro, inneggiante all’amore ed alla fedeltà.
In sostanza una regia caratterizzata da un grande affastellamento di idee -non tutte perfettamente intelligibili- che però non riescono mai a concretizzarsi in un vero lavoro sui cantanti che, lasciati sostanzialmente a loro stessi, agiscono in modo abbastanza convenzionale. Inoltre le pause e le sospensioni che il regista inserisce dopo ogni brano musicale non fanno altro che frammentare ulteriormente una partitura che, già concepita a numeri chiusi, non diviene mai musicalmente fluida. A volte viene addirittura da pensare che in realtà tutto ciò a cui assistiamo sia opera di fantasia: magari un racconto di Rocco, che vediamo all’inizio ed alla fine concentrato alla macchina da scrivere, oppure un sogno di Marzelline, spesso assopita accanto al pianoforte, quasi a giustificare la frase di Müller riferita al sogno proiettata durante l’ouverture.

Alti e bassi caratterizzano anche l’aspetto musicale. Fidelio non è opera di repertorio al Comunale che in 205 anni (la versione ascoltata è infatti quella definitiva del 1814) è stata allestita solo tre volte. L’orchestra è sembrata quindi meno a suo agio rispetto ad altre esecuzioni, lasciando trasparire qualche incertezza, in particolare nella sezione dei fiati. Dal podio il direttore Asher Fisch opta per una lettura nel complesso equilibrata ma sostanzialmente uniforme e spesso poco incisiva, soprattutto nella seconda parte dove si ha l’impressione che i tempi tendano a dilatarsi perdendo tensione drammatica. Simone Schneider è una Leonora volitiva, dalla voce importante, sicura nei centri e disinvolta nell’acuto. La linea di canto forse non è sempre impeccabile ma l’interpretazione risulta convincente. Qualche perplessità desta invece il Florestano di Erin Caves, spesso in difficoltà nelle note acute al punto da comprometterne in più di un’occasione l‘intonazione. Petri Lindroos è un Rocco dal timbro imponente ma un po’ generico nel fraseggio. Ottimo Lucio Gallo, che delinea un Pizarro spavaldo, ricco di sfaccettature e timbratissimo. Anche dal punto di vista della recitazione il suo è sicuramente il personaggio più a fuoco del cast. Molto buona anche la Marzelline di Christina Gansch che si distingue per il timbro fresco e luminoso. Nel complesso funzionali lo Joaquino di Sascha Emanuel Kramer e il Don Fernando di Nicolò Donini. Rimarchevole come sempre la prova del coro istruito da Alberto Malazzi.
Al termine applausi per tutti In particolare per Gallo e la Schneider.