Nella Gerusalemme attuale a Rochelle è appena morto il marito ed ha deciso di trasferirsi in casa di riposo, per questo ha chiest...
Nella Gerusalemme attuale a Rochelle è appena morto il marito ed ha deciso di trasferirsi in casa di riposo, per questo ha chiesto ai figli di andare ad aiutarla per il trasloco, e con questo pretesto cerca di rifilare a questi ultimi tutto quello che non riuscirà a portare nella sua nuova dimora.
Da questo spunto Yeoshua riesce a creare un testo in cui il tema della morte viene affrontato con quel cinico umorismo tipico della cultura ebraica. Rochelle incarna perfettamente le caratteristiche della “Mamma ebrea”, ossessiva nei confronti dei figli, con un grandissimo senso del tragico sempre pronta a fare leva sul sentimento altrui. Ma sotto a questi atteggiamenti che vengono affrontati in chiave grottesca c’è qualcosa di più serio: nella famiglia che qui viene descritta i rapporti interpersonali sono quasi annullati. Rochelle tenta infatti di mantenere il proprio legame con i figli caricandoli di tutto quanto le era appartenuto e di cui adesso si deve disfare, quasi ormai gli oggetti fossero l’unica cosa veramente importante, l’unico modo per trasmettere qualcosa di sé agli altri. Dal canto loro i figli non sono da meno: Ezra non fa altro che ricordare quanto sia stata una fortuna che la malattia del padre sia stata breve, così da non aver creato troppi disagi ai familiari, mentre Eva, da parecchio sposata con un uomo più anziano di lei, grazie a questo evento si accorge di questa differenza di età e decide di divorziare perché improvvisamente la spaventa l’idea della vecchiaia del compagno.
Tutto questo viene affrontato in chiave ironica e spesso macchiettistica, ed in qualche caso si ha la sensazione che l’autore si spinga forse un po’ troppo in superficie, ma in parte recupera inserendo il personaggio di Daniella, una compagna di scuola di Ezra che, trovatasi in una situazione analoga, dimostra come anche la morte di una persona cara possa essere un motivo di profonda riflessione e di comunione all’interno di una famiglia.
La regia di Toni Bertorelli, contando anche sulla forte presenza di Franca Valeri, tende ad indulgere più sul registro comico che sull’analizzare a fondo le dinamiche interpersonali. Fatta eccezione per la scena del monologo interiore di Ezra, risolta in maniera quasi onirica, con ipnotici giochi di luce, il resto scorre via piacevolmente ma senza andare mai veramente a fondo.
Per quanto riguarda gli attori oltre alla Valeri, che può contare su una tale padronanza del mestiere da sopperire alla sua figura un po’ gracile ed alla voce un po’ fievole, si segnalano l’ottimo Ezra di Urbano Barberini e Sabina Vannucchi, nel ruolo della moglie, figura pragmatica ma dotata di una ceta solarità. Convincente anche Gianna Salvetti nel ruolo di Daniella, una sorta di coscienza ossessiva e martellante, e forse un po’ pedante, che comunque lascia il segno. Più dubbie le prove di Silvia Luzzi, nel ruolo di Eva e di Gabriella Franchini quale Zia Tilly. Funzionali Gianfranco Quero (l’ex marito di Eva) e Carla Ortensi (la colf palestinese).
Alla fine caloroso successo di pubblico in un teatro praticamente esaurito.
Davide Cornacchione 16/01/2002