Recensioni - Opera

Brescia: Frullato di Bulgakov

La scelta di tradurre in una rappresentazione teatrale un testo complesso e sfuggevole come "Il maestro e Margherita" non è certo ...

La scelta di tradurre in una rappresentazione teatrale un testo complesso e sfuggevole come "Il maestro e Margherita" non è certo delle più agevoli, denota sicuramente una certa propensione al rischio, caratteristica però non sufficiente a garantire la riuscita dell'operazione.
Il romanzo di Buklgakov si presenta ostico già di suo; infatti il lettore è costretto a seguire una narrazione che si dipana su più piani paralleli e segue le vicende di una miriade di personaggi, alcuni dei quali vengono addirittura abbandonati in corso d’opera. Il tutto avviene all'interno di un'atmosfera onirica e grottesca allo stesso tempo, permeata dall'influsso maligno del personaggio di Woland che altri non è se non il diavolo.
Intento dichiarato di Battistini era quello di dare vita ad uno spettacolo che non fosse un riassunto del testo (impresa peraltro impossibile a patto di non concepire serate di durata "ronconiana") ma che ne conservasse le sensazioni e l'atmosfera stessa del romanzo. Ecco quindi che i due atti su cui si basa la riduzione vengono risolti: il primo con l'avventura all'interno del teatro e con il numero di magia che tanto scompiglio provocherà nella città di Mosca, ed il secondo con il viaggio sulla scopa di Margherita ed il sabba a casa di Woland; il tutto inframmezzato da una breve parentesi dedicata al maestro e da qualche accenno al romanzo su Ponzio Pilato.

La prima impressione che ho avuto è stata quella di uno spettacolo per molti versi incomprensibile a chi non avesse letto il testo; impressione avvalorata da chi mi stava seduto vicino e che suo malgrado si trovava in questa condizione. Infatti il volersi soffermare solo su alcuni episodi (peraltro importanti, non discuto), ha totalmente sbilanciato l'attenzione in favore di questi penalizzando non poco la chiarezza della vicenda. A questo si aggiunga che, se nella prima parte tutto sommato il ritmo è stato abbastanza sostenuto e la scena dell’ esibizione nel teatro, seppur risolta in modo convenzionale, ha saputo catturare l’attenzione, il secondo atto ha mostrato parecchie lungaggini che non hanno fatto altro che sfilacciare e appesantire il progredire della vicenda. Un taglio di 25 minuti buoni nella seconda parte non potrebbe che giovare.
Oltretutto le soluzioni proposte nel corso dell’opera, quali il gioco del teatro nel teatro, o la scena del sabba, risolta con gli attori immobili che declamavano brani di testo sovrapponendosi tra loro, erano ben lontane da quello che ci si potrebbe aspettare da un teatro di ricerca, tanto forte era la sensazione di già visto che queste suscitavano. Risultava perciò difficile definire di che tipo di operazione si trattasse: troppo convenzionale per essere avanguardia, ma allo stesso tempo troppo cerebrale per essere intrattenimento.
Efficaci, ma senza punte di straordinario talento, gli attori, che in buona parte provenivano dal Teatrul Studio di Castalia, e che grazie al loro accento slavo conferivano all’operazione un tocco di esotismo che alla fine risultava accattivante.

Al termine, dopo due ore di “delirio onirico” concluse da un monologo di Woland recitato secondo i più classici canoni dell’ attore-mattatore, e che francamente strideva non poco con quanto visto sino a quel punto, tanto da far nascere l’idea di essere più una conclusione strappa-applausi, gli applausi sono puntualmente arrivati da parte di un pubblico costituito in buona sostanza da scolaresche che esaurivano il teatro.

Davide Cornacchione 01/03/2002