Recensioni - Opera

Brescia: Il genio di Wilde resiste a tutto

Prosegue la stagione del Teatro Stabile di Brescia con “L’importanza di chiamarsi Ernesto” di Oscar Wilde presentata dal Teatro St...

Prosegue la stagione del Teatro Stabile di Brescia con “L’importanza di chiamarsi Ernesto” di Oscar Wilde presentata dal Teatro Stabile di Calabria con la regia di Mario Massiroli, scene di Lorenzo Ghiglia e costumi di Elena Mannini.

Wilde riporta in questa commedia tutto il suo genio per la battuta e per il motto intelligente, sagace e spesso graffiante nei confronti di una società aristocratica che egli stesso amava frequentare, ma di cui sapeva cogliere tutti gli aspetti negativi e spesso palesemente provinciali. Il testo è un susseguirsi di battute divertenti, di rimandi, di citazioni la maggior parte, a distanza di più di cent’anni (il debutto è del 1895), ancora attualissime. Wilde, forse come pochi altri scrittori, ha saputo cogliere l’essenza della cosiddetta “vita di società”, intesa come un insieme di chiacchiere amabili, influenzate dal ceto, dalle convinzioni, dalle prevaricazioni caratteriali e morali che, pur dietro una facciata di cortesia, emergono schiette e quasi irrefrenabili. Così Lady Bracknell è talmente artefatta da apparire plausibile, Algernon e Jack sono talmente improbabili nell’esprimere i loro desideri da sembrare quasi sinceri, mentre le due loro innamorate appaiono talmente ingenue da essere alla fine fin troppo scaltre.

Wilde riesce insomma a condire l’improbabile e l’artefatto di verità quasi esclusivamente attraverso una lingua che è puro ingegno e divertimento. Ingegno e divertimento che nelle parti migliori del testo funziona sempre, ma che è necessario supportare con una consapevolezza linguistica e con una leggerezza che agli interpreti di questa edizione è francamente mancata. Soprattutto nel primo atto la fretta di dare le battute e la superficialità hanno fatto perdere moltissimo dello smalto comico che il testo racchiude. Improbabili soprattutto le interpreti femminili, in particolare la Caprioglio, che più che giovinette di buona famiglia sembravano ragazzacce di periferia. Il secondo atto, in buona parte affidato a loro, è letteralmente affondato nella noia. Delude anche la prova di Geppy Gleijeses che ha delineato un Jack/Earnest annoiato, che invece di puntare sul testo sciorinava mossette ed espressioni da avanspettacolo. Grande professionalità va riconosciuta a Lucia Poli, interprete di Lady Bracknell, che però recitava costantemente sopra le righe e non riusciva a salvare la serata.

Lo spettacolo appariva alla fine convenzionale. Non aiutavano certo le scene banali di Lorenzo Ghiglia che ha iscritto tutto in una specie di stazione con la vista sul Tamigi o sulla campagna. Ma, si sa, il testo è inossidabile e qualche sprazzo di divertimento lo ha dato, tanto da strappare alla fine anche applausi convinti.

A. Manuelli
(25 Gennaio 2002)