Recensioni - Opera

Carmen, tra innovazione e tradizione

Il capolavoro di Bizet nel nuovo allestimento di Hugo De Ana inaugura il Festival areniano

Dopo oltre vent’anni, durante i quali era stata protagonista la versione tradizionale di Franco Zeffirelli, la Fondazione Arena ha inaugurato il festival 2018 con una nuova produzione di Carmen di Georges Bizet, firmata da Hugo De Ana.  Il regista argentino, autore anche di scene e costumi, ha scelto di ambientare la vicenda durante il periodo della guerra civile spagnola: Carmen ed i suoi compagni appartengono quindi alla schiera dei repubblicani mentre Don José è membro delle milizie franchiste. 

 

Suddivisione questa non sempre chiara sulla scena, soprattutto nei primi due atti, durante i quali il progressivo accumularsi di figuranti, impegnati in un continuo viavai che comprendeva anche l'ingresso sul palco di cavalli -come nella più classica tradizione zeffirelliana- rendeva poco intelligibile il disegno registico, facendo prevalere un certo bozzettismo di maniera su una vera e propria idea drammaturgica. Più interessanti, soprattutto visivamente, il terzo atto, dominato da una suggestiva rete metallica che rimanda ai posti di frontiera, ed il quarto, registicamente il più riuscito, nel quale l'assassinio di Carmen avviene all'interno di una ricostruita Plaza de toros e non all'esterno, come da tradizione. Nel complesso uno spettacolo discontinuo nel quale anche l'importante uso di videoproiezioni risulta per lo più didascalico e non contribuisce allo sviluppo di una vera e propria idea registica.

 

La parte musicale ha avuto come protagonista sul podio Francesco Ivan Ciampa, autore di una concertazione estremamente raffinata ed attenta alle sfumature.  Una linea interpretativa che, se in alcuni passaggi, soprattutto nel primo atto, veniva penalizzata dalla vastità dello spazio areniano, laddove aveva modo di emergere otteneva risultati di tutto rispetto. Cito ad esempio il bellissimo quintetto del secondo atto che, grazie anche ad una perfetta sintonia con i cantanti, è stato gestito con una precisione ed una leggerezza quasi cameristiche.

Il versante vocale è stato invece caratterizzato da luci ed ombre, a partire da un quartetto di protagonisti non sempre a fuoco.  Seppur dotata di un timbro interessante e abile attrice sulla scena, la Carmen di Anna Goryachova mancava di quegli accenti che il ruolo richiederebbe, per rendere appieno la complessità della sigaraia sivigliana.  Walter Fraccaro ha cantato un Don José dal volume importante ma avaro nel fraseggio e non sempre convincente nei passaggi più lirici. Discorso analogo per l'imponente ma ruvido Escamillo di Alexis Vinogradov. Ottima invece Mariangela Sicilia, che si distingueva per la bella linea vocale e per le notevoli capacità espressive, che le hanno permesso di delineare una Micaela forte e volitiva, lontana dalle ragazzine impaurite che una certa tradizione ci ha consegnato.
Di buon livello il gruppo dei comprimari che ha visto Ruth Iniesta (Frasquita), Arina Alexeeva (Mercédès), Davide Fersini (Dancairo) e Enrico Cesari (Remendado) autori di una prova rimarchevole che ha raggiunto l’apice nel sopracitato quintetto. Funzionali lo Zuniga di Gianluca Breda e il Moralès di Gocha Abuladze.
Come sempre appropriata la prova del coro diretto da Vito Lombardi.

Davide Cornacchione 11/07/2018