Recensioni - Opera

Amsterdam: Cavalleria e Pagliacci meta-metateatrali

I due capolavori del verismo in un efficace allestimento firmato da Robert Carsen alla Nationale Opera di Amsterdam

L’Opera Nazionale Olandese di Amsterdam ha inaugurato la nuova stagione con un riuscito allestimento di Pagliacci di Ruggero Leoncavallo e Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni, con la regia di Robert Carsen, scene di Radu Boruzescu, costumi di Annemarie Woods e luci dello stesso Carsen e Peter Van Praet. Il regista canadese ha optato per una lettura che accomunasse le due partiture, giocando su un’interpretazione metateatrale, che se per Pagliacci appare quasi inevitabile, in Cavalleria Rusticana ha dato talvolta l’impressione di qualche forzatura, nonostante sia stata costruita con estrema coerenza.

L’opera di Leoncavallo si apre con il tradizionale prologo che però non viene interpretato da Tonio ma da un tecnico di palcoscenico, al quale verrà affidata anche la battuta finale “La commedia è finita.” La scena è costituita da più sipari rossi, in tutto e per tutto identici a quello del teatro, che si aprono e chiudono definendo di volta in volta lo spazio scenico. All’arrivo dei pagliacci il coro, che all’insaputa del pubblico, era seduto nelle prime due file di platea, si alza ed inizia ad interagire da una platea completamente illuminata per poi salire sul palcoscenico e quindi ridiscendere ed accomodarsi di nuovo in poltrona quando avrà inizio la commedia vera e propria. Il resto dell’azione si svolge su un palcoscenico in cui tutti gli elementi quali quinte, fari e tralicci, sono a vista, per rimarcare ulteriormente la differenza tra vita reale e finzione scenica. Ottimamente gestita la recita finale, in cui Canio appare in un costume che ricorda in tutto e per tutto il Joker di Batman da cui si libera nel momento in cui smette di essere pagliaccio e si presenta solo come il marito tradito che, in preda alla rabbia, uccide sulla scena moglie ed amante.

Il tutto sembrerebbe chiudersi qui, se non fosse che dopo l’intervallo, durante il preludio di Cavalleria, il sipario si riapre esattamente sulla scena conclusiva di Pagliacci: i coristi si allontanano, Silvio e Nedda si rialzano, parlano con Canio, come se a quel punto fosse veramente finita la commedia e gli interpreti potessero liberarsi definitivamente delle loro maschere. Scopriamo così che la vicenda di Cavalleria rusticana si svolge nei camerini e nelle sale prove di quel teatro che ha prima ospitato la recita di Pagliacci. Turiddu, Lola, Santuzza e, a maggior ragione Alfio, interpretato dallo stesso baritono che abbiamo visto prima nei panni del prologo, fanno parte di quelle maestranze.
La prima scena si svolge nei camerini in cui i coristi si truccano e si cambiano d’abito, mentre la scena ambientata la domenica di Pasqua altro non è che una prova d’insieme del coro. Non sempre testo e azione coincidono, però tutto si svolge in maniera estremamente coerente e fluida, regalando alcuni momenti di grande suggestione quali ad esempio Santuzza che, isolata da tutti si trova, durante l’Intermezzo sola davanti al sipario tagliafuoco calato, ed il finale in cui Il pubblico in platea si riflette in un fondale a specchio calato in fondo al palcoscenico vuoto.

Il lavoro meticoloso sui personaggi che contraddistingue sempre i spettacoli di Carsen è ottimamente supportato da un cast efficace sia a livello recitativo che musicale.
Brandon Jovanovich è un Canio generoso, dalla voce potente, che sopperisce ad alcune carenze di fraseggio con un’interpretazione di stampo verista. L’intonazione non è sempre impeccabile ma, grazie ad un notevole lavoro di immedesimazione, il personaggio risulta assolutamente credibile e di grande impatto sulla scena. Voce suadente e corposa ed una buona linea di canto caratterizzano l’intensa Nedda di Aylin Pérez, mentre il Tonio di Roman Burdenko ha voce imponente e duttile, che si piega alle esigenze del ruolo. Ottimi il Peppe di Marco Ciaponi, che nell’aria di Arlecchino si dimostra buon fraseggiatore, ed il Silvio dal timbro pieno e morbido di Mattia Olivieri. Di buon livello anche il cast di Cavalleria rusticana, dominato dall’intensa e volitiva Santuzza di Anita Rachvelishvili, cui la voce estesa e perfettamente timbrata sia nel registro acuto che in quello grave le permettono di fare sfoggio di un’ampia gamma di colori e sfumature. Brian Jagde è un Turiddu musicale, dalla bella linea di canto e mai eccessivo nell’emissione e nell’interpretazione. Credibile sulla scena anche l’Alfio di Gevorg Hakobayan: il bel timbro baritonale e l’eleganza nell’emissione e gli consentono di risolvere egregiamente sia l’irruento carrettiere siciliano, sia il più raffinato prologo dei Pagliacci con il quale aveva aperto l’opera. Rihab Chaieb è una Lola credibilissima e musicale, mentre Elena Zilio è una Mamma Lucia efficace e partecipe. Sul podio dell’Orchestra Filarmonica Olandese, Lorenzo Viotti dirige Pagliacci con piglio spavaldo, mentre in Cavalleria rusticana dilata i tempi accentuandone gli aspetti più lirici. Entrambe le interpretazioni, estremamente convincenti e ricche di sfaccettature, denotano grande attenzione alle sonorità. Ottima la scelta delle dinamiche e sempre fluida la narrazione. Da applausi l’interpretazione del coro diretto da Ching-Lien Wu, curiosamente interprete di se stessa sulla scena durante l’esecuzione di “Inneggiamo il Signor non è morto”.
Il pubblico del teatro, esaurito in ogni ordine di posti, ha tributato alla produzione un successo pieno e meritato.