Recensioni - Opera

Chi è senza peccato scagli la prima pietra

Misura per misura con la regia di Juri Ferrini in scena al Ponchielli

La realtà non è però fin dall’inizio quella che appare in questa sorta di dark comedy ante litteram che intende svelare come nell’uomo, in ogni uomo, la discrasia fra apparenza e sostanza talvolta sia davvero enorme. Il duca, infatti, non è affatto partito, ma si aggira in città sotto mentite spoglie fingendo di chiamarsi Fra Ludovico; Angelo, nel segreto, si rivela tutto fuorché integerrimo, visto che arriva a proporre a Isabella, novizia e sorella di Claudio, una notte di piacere in cambio dell’assoluzione del fratello; Isabella stessa, che perora la causa di Claudio, è in realtà bloccata da una visione del mondo egoistica e autoreferenziale.

La vicenda che, come spesso succede nel teatro shakespeariano, mescola elementi derivati dalla commedia e dalla tragedia, stile elevato e gergo popolare, diviene sempre più intricata fino a giungere al lieto fine in cui tutti vengono perdonati dal Duca in nome di una magnanimità e di una misericordia che tengono conto delle fragilità che, per gradi diversi, tutti ci accomunano.

Le scene di Carlo de Marino sono essenziali, ma efficaci: uno spazio chiuso da tre pareti scure, decorato da graffiti, che funge da prigione, da bordello, da strada, ben illuminato dalle luci tendenti al viola di Lamberto Pirrone e quasi privo, ad eccezione di brevi passaggi, di arredi particolari.

Vivace la regia di Jurij Ferrini che sa tenere desta l’attenzione dello spettatore attraverso un’ottimo controllo dei movimenti dei protagonisti e di una cura raffinata del dettaglio. Dai tratti prettamente novecenteschi, con evidenti rimandi ad ambienti mafiosi e di strada, i costumi realizzati da Alessio Rosati che contribuiscono a rendere l’idea dell’universalità e dell’atemporalità della problematica trattata.

La giustizia ha un valore in sé, del tutto indipendente da chi la amministra? Va mitigata utilizzando quella che gli antichi chiamavano pietas e che in Paolo di Tarso diverrà caritas? Va messo in primo piano il concetto di humanitas, di quel legame che accomuna tutti noi perché nulla di ciò che è umano ci è estraneo? L’esercizio del potere deve contemplare solo l’uso della fermezza o anche quello del perdono? Tutte questioni che l’uomo dibatte da secoli, senza trovare mai soluzioni definitive, ma che Shakespeare ha ben chiare in testa e per risolvere le quali opta certo per la scelta più morbida.

Bravi tutti i componenti del cast, con una menzione particolare per lo stesso Jurij Ferrini che veste i panni del duca e di Matteo Alì che ben arriva a tratteggiare la figura a tratti viscida di un Vicario che non riesce a destreggiarsi fra pulsioni naturali e senso di colpa, così da attaccarsi sempre di più, quasi fossero un usbergo, all’intransigenza di principi astratti.

 

Vincentio Duca di Vienna, finge di lasciare la città per un viaggio diplomatico e incarica a questo proposito Angelo, da tutti conosciuto come un uomo tutto di un pezzo, di governare fino al suo ritorno, compito questo che il Vicario svolgerà con una intransigenza senza pari, condannando a morte il giovane Claudio colpevole di aver messo incinta la promessa sposa.

 

 

Simone Manfredini 20/02/2018