Recensioni - Opera

Convince il Tannhäuser contemporaneo a Modena

Ottima edizione dell’opera romantica wagneriana in una coerente e innovativa messa in scena del regista tedesco Georg Schmiedleitner

Arriva dal Festival Lirico di Heidenheim in Baden Wuerttemberg il Tannhäuser presentato a Modena per la stagione lirica e lodevolmente coprodotto dalla Fondazione Teatro Comunale di Modena e dai Teatri di Reggio Emilia.

Evento raro Wagner in Italia. Ancor più raro nei teatri di provincia, dove la messa in scena di un’opera del maestro tedesco pare essere da sempre uno scoglio insormontabile. Bene hanno fatto dunque i teatri di Modena e Reggio ad instaurare una collaborazione con il Festival Lirico di Heidenheim OH!, ridente cittadina di appena 48.000 abitanti, che però riesce a produrre e presentare la complessa opera di Wagner in un allestimento contemporaneo e convincente.

Come è ovvio, concezione, produzione, regia, artisti e coro provengono tutti da oltralpe, ma resta la bella soddisfazione di segnalare l’ottima prova orchestrale dell’Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini ottimamente diretta da Marcus Bosch. L’orchestra nostrana si dimostra perfettamente in grado di padroneggiare la partitura wagneriana regalandoci una lettura sinfonica e teatrale molto convincente.

Convince anche lo spettacolo affidato alla mano esperta del regista austriaco Georg Schmiedleitner, che si avvale di una lettura contemporanea dell’astrusa vicenda del trovatore Heinrich di Ofterdingen, irretito dagli amori per la dea Venere e poi combattuto fra la voluttà dell’amore profano e la sacralità dell’amore angelicato verso Elisabeth. La scena, di Stefan Brandtmayr, rappresenta un bordello completamente tappezzato di rosso, sovrastato da insegne al neon, fra cui una indicante Roma con una freccia. Il tutto è sopraelevato, quasi su una specie di piattaforma instabile e provvisoria, come se la vita di paillettes e lustrini fosse insicura, aleatoria, claustrofobica. I costumi, colorati e provocatori, sono a firma di Cornelia Kraske.

Nella lettura di Schmiedleitner, il trovatore diviene un ragazzotto disadattato che si è perso nei divertimenti di un bordello gestito appunto dalla bella Venere assieme a degli amici equivoci e a donnine di facili costumi. Egli passa il suo tempo con queste amicizie di dubbia moralità oppure annichilendosi davanti alle macchinette da gioco. Questa vita però gli è venuta a noia e, eternamente insoddisfatto e in preda ad ansie giovanilistiche e ormonali, decide di abbandonare questa esistenza di dissolutezza per tornare da Elisabeth alla Wartburg.

Se la montagna di Venere è un bordello, la Wartburg non può che essere una specie di sala congressi in cui si dispensa facile divertimento e felicità a buon mercato. Per cui la disfida fra i cantori altro non è che una specie di convention benefica, in cui i cantori sono famosi e riconosciuti oratori e dove Tannhäuser arriva come elemento di disturbo: un esiliato che non riesce più ad adattarsi a questo mondo di finto perbenismo dopo aver assaporato le voluttà di una vita senza costrizioni. Anche i pellegrini non sono altro che gente interessata, in viaggio verso Roma muniti di carrelli della spesa e di cestini, simbolo chiaro della mercificazione delle indulgenze come della fede.

Dunque, l’eroe in questa lettura altro non è che un disadattato, incapace di vivere sia nel mondo del peccato che in quello della redenzione, coinvolgendo anche i suoi amici in questa spirale di abiezione. Wolfram, infatti, è in questa lettura anch’egli innamorato di Elisabeth e freudianamente geloso del rivale Tannhäuser. Tanto che nel finale, vista l’impossibilità di raggiungere l’amata, che anzi nella lettura provocatoria di Schmiedleitner si dà alla prostituzione insieme a Venere, giunge a strangolare il rivale per poi uccidersi in preda ai rimorsi.

Lettura innovativa, a tratti provocatoria quella del regista austriaco, ma sempre coerente e conseguente nella caratterizzazione dei personaggi e nelle scelte drammaturgiche. La regia convince nell’insieme, stimolando più di una riflessione sul dovere, sull’amore, sul ruolo dell’arte. Certo se il primo atto con il bordello non risulta essere niente di particolarmente originale, convincono maggiormente i due atti successivi. Qui i personaggi prendono forma e rivelano un’inedita personalità. Le scene di massa sono ottimamente gestite anche grazie al bravo coro della Czech Philarmonic di Brno, che dimostra di essere una compagine compatta e affiatata.

Splendida l’idea di coinvolgere la sala nel finale con il coro che appare da dietro gli spettatori e, insieme ai cantanti sul palco, crea un riverbero sonoro molto efficace ed emozionante.

Ottima tutta la compagnia di canto, che, oltre ad essere scenicamente efficace e attorialmente spigliata, è nell’insieme di ottimo livello. James Knee impersonava Tannhäuser con voce potente e timbrata, perfettamente calato nel ruolo del ribelle. Il Margravio di Turingia era l’ottimo basso Tijl Faveyts, che si imponeva per squillo e sonorità. Birger Radde impersonava efficacemente Wolfram von Eschenbach, disegnando un personaggio completo, ben cantato e ben interpretato. Leah Gordon era un’Elisabeth dall’ampia sonorità e dal piglio deciso, mentre Anne Schuld risultava giustamente provocatoria e sensuale come Venus. Ottimo e altamente professionale anche il resto del cast: Martin Mairinger, Youg Kwon, Christian Sturm, Gerrit Illenberg e Julia Duscher.

Pubblico non molto numeroso, ma vivo successo per tutti nel finale.

Raffaello Malesci (13 novembre 2022)