Virato verso i toni della farsa e del grottesco il nuovo allestimento del Così è, se vi pare, curato da Massimo Castri presentato nella stagione del Centro teatrale Bresciano
Giunto alla sua terza edizione del Così è… se vi pare di Pirandello, il regista Massimo Castri, dopo averne messo a nudo le dinamiche interpersonali e gli aspetti psicologici nei precedenti allestimenti, ha scelto questa volta di puntare sulla chiave del comico, accentuandone gli aspetti umoristici e farseschi. Abbiamo quindi assistito al Teatro Sociale ad una messinscena dal ritmo decisamente sostenuto, che strizzava l’occhio al vaudeville, pur non rinunciando a sottolineare alcuni aspetti fondamentali della poetica pirandelliana, tra i più evidenti: l’uso degli specchi, la maschera il rapporto dell’individuo rispetto agli altri.
La stanza in cui si svolge la vicenda e che è teatro dei vari interrogatori, spesso rappresentata come un’ipotetica camera delle torture, in questo caso era caratterizzata da una serie di porte lungo le pareti, dalle quali gli attori entravano ed uscivano creando spesso spiritose gags come nella più classica delle commedie degli equivoci. Il tutto assecondato da un commento musicale estremamente leggero e vitale che alleggeriva ulteriormente i toni della commedia, quasi a voler rappresentare una società assolutamente superficiale ed indifferente, che a conclusione della vicenda si lancia nuovamente nella danza frenetica con cui era iniziato lo spettacolo.
Potendo contare su un cast interamente di giovani, forgiati all’interno di un corso di perfezionamento promosso dallo Stabile dell’Emilia Romagna e dell’Arena del Sole, Castri ha preferito evitare un’interpretazione eccessivamente naturalistica, spingendo invece verso il grottesco e verso una recitazione marcatamente sopra le righe. Scelta quest’ultima che, a mio avviso, si è rivelata un’arma a doppio taglio, visto che in parte ha costituito proprio uno dei limiti nella resa complessiva. Se infatti la recitazione stralunata di Diana Hobel conferiva delle caratteristiche nuove ed originali al personaggio della Signora Frola, alleggerendone il peso drammatico, lo stesso tipo di impostazione, che potremmo definire un po’ sbrigativo, appiattiva in parte le altre due figure cardine dello spettacolo, ovvero il Signor Ponza e il Laudisi del comunque promettente Michele Di Giacomo.
Il dramma quindi scompariva, quantomeno nella sua accezione più classica, per lasciare spazio ad un gioco al massacro interpretato con un dinamismo quasi di stampo futurista: tutto proiettato in avanti, come un treno in corsa (non a caso i tre atti sono presentati senza intervalli) che quasi non si cura delle conseguenze del suo passaggio, ma che proprio per questo rischia di perdere qualcosa per strada durante il suo percorso.
Il pubblico che gremiva in ogni posto il Teatro Sociale ha comunque dimostrato di gradire questa proposta tributando a tutti gli artefici dello spettacolo calorosi applausi.
Davide Cornacchione 10 gennaio 2008