Recensioni - Opera

Crebassa e Oropesa incantano la Scala come Romeo e Giulietta

Ottimo successo milanese per la rara opera di Bellini. Estetizzante e concreta la regia di Adrian Noble.

Tornano alla Scala dopo più di trent’anni di assenza “I Capuleti e Montecchi” di Vincenzo Bellini su libretto di Felice Romani, presentati per la prima volta alla Fenice di Venezia l’11 Marzo del 1830.

Opera curiosa questa di Bellini se non altro per l’impostazione della storia degli amanti veronesi, che si rifà alla novella cinquecentesca di Matteo Bandello e non, come verrebbe facile pensare, alla più nota tragedia shakespeariana. È pur vero che lo stesso Shakespeare trae buona parte del materiale proprio da Bandello, ma nell’opera di Bellini ritroviamo lo spirito più prettamente rinascimentale della novella del vescovo piemontese, oltre che a rimandi all’opera di Shakespeare ma mutuati da varie trasposizioni e “regolarizzazioni” neoclassiche ad opera di Ducis e Luigi Scevola, secondo la moda vigente nel secolo dei lumi di emendare il bardo inglese dalle “pecche” nordiche e antiaristoteliche. La vicenda ha ben poco dell’afflato romantico a cui siamo avvezzi, l’amore fra Giulietta e Romeo è dato per assodato e ci si concentra essenzialmente sulla faida senza quartiere fra Capuleti e Montecchi, di cui i due giovani amanti sono parte integrante, essendo Romeo capo dei Ghibellini e Giulietta assolutamente restia a tradire la famiglia di origine fuggendo con l’amato, fra l’altro colpevole di averle ucciso il fratello.

L’opera fu concepita e prodotta in un tempo brevissimo, in sostituzione di una prevista opera di Giovanni Pacini. Siamo infatti nel pieno di un sistema melodrammatico italiano dominato dalla figura dell’impresario e Bellini e Romani furono costretti proprio dall’impresario della Fenice, Alessandro Lanari, ad un lavoro in velocità; tanto che il librettista non poté fare altro che riciclare un libretto già prodotto per Nicola Vaccaj e il musicista riutilizzare diverse melodie già approntate per Zaira e Adelson e Salvini.

La regia

L’Inglese Adrian Noble firma questa nuova produzione scaligera, affiancato da Tobias Hoheisel per le scene e da Petra Reinhardt per i costumi. Adrian Noble interviene drammaturgicamente durante l’ultima parte dell’overture, mettendo in scena l’uccisione del fratello di Giulietta da parte dei ribelli Montecchi; e in occasione del preludio alla scena fra Romeo e Tebaldo nel secondo atto, in cui cerca di chiarire la vicenda inscenando una pantomima con dei non meglio precisati profughi e i seguaci dei Capuleti che prendono prigioniero Lorenzo, non permettendogli di avvertire Romeo della finta morte dell’amata.

A parte questi interventi drammaturgici, la messa in scena è essenzialmente estetizzante, concreta e sostanzialmente tradizionale. Si segue da una parte il dettato librettistico con ampi e suggestivi tableaux-vivant, dall’altro si punta sulla bellezza estetica ed estetizzante della scenografia, come nel quadro finale della tomba, ambientato in un improbabile quanto suggestivo bosco ricolmo di fiori bianchi, colore che fin dalla prima scena accompagna simbolicamente la vestizione per le nozze della sfortunata Giulietta.

L’azione è attualizzata e trasposta in un periodo indefinito che richiama gli anni trenta del novecento, con scene imponenti che alternano spigoli e arrotondamenti in un amalgama di colori terrei su cui si stagliano i formali completi scuri dei Capuleti o i cappottoni dei congiurati Montecchi. In questa atmosfera di arcigno rigore si svolge la prima parte del primo atto, che poi muta all’arrivo di Giulietta con l’avanzare in scena di una piccola stanza liberty, con tanto di chaise longue con levrieri e tenui tappezzerie floreali. In un angolo mazzi di fiori bianchi a richiamare la purezza della fanciulla. Un rifugio intriso di levità e colori chiari, quasi un ritiro per l’incontro dei due amanti in palese contrasto con la cupezza precedente.

Si ritorna successivamente al cupo, sempre dominato da colori tetri, nella festa di matrimonio in cui si insinua furtivo un Romeo in impeccabile frac nero. Unica concessione frivola: un piccolo balletto di pasticceri che sfilano sulla musica di marcetta con una processione instabile e vagamente comica di torte nuziali. L’atmosfera ritorna guerresca all’irrompere dei congiurati Ghibellini, capeggiati da Romeo, che mandano a monte il matrimonio, concludendo con un bel quadro scenico in cui Romeo in controluce sventola vittorioso la bandiera della Verona medievale.

L’impostazione resta tale anche all’inizio del secondo atto, nella grande scena in cui Giulietta viene convinta da Lorenzo e dalle circostanze ad assumere la fatale pozione che la farà credere morta. Un cambio deciso poi nelle scene successive: quella del confronto fra Romeo e Tebaldo, che si svolge con lo sfondo di un bozzettistico bosco con tanto di sentiero di campagna, in cui non manca una leggera nevicata che precede l’irrompere del corteo funebre di Giulietta. Ma soprattutto nel finale in cui la tomba di Giulietta altro non è che la chaise longue del primo atto ove la sfortunata eroina è stata adagiata fra un profluvio di cesti di fiori bianchi; a corona della scena cimiteriale un bosco frondoso con rami zeppi sempre delle medesime infiorescenze.

Insomma il regista sceglie di illustrare e lo fa con gusto e rigore formale, azzeccando uno spettacolo forse non originalissimo, ma concreto, che segue i dettami della musica; spesso la illustra, spesso si ferma per aspettarla, la lascia parlare, non interviene o se lo fa è in punta di piedi, con passo felpato. Rinuncia al realismo anche nelle scene di battaglia, preferendo un rallentato simbolico affidato al coro e ai mimi. In sostanza si inserisce in modo discreto ove possibile, mettendo in scena l’uccisione del fratello, il rapimento di Lorenzo, un accenno ironico nella festa e poco più; lasciando poi parlare la drammaturgia musicale e, a volte, illustrando l’accaduto ex post, come quando dissemina la scena di alcuni cadaveri e bandiere insanguinate di una lotta fratricida che in realtà non si vede mai, accennata com’è sempre in versione stilizzata.

Certo la drammaturgia belliniana non è oggi di semplice messa in scena, caratterizzata com’è ancora da un formalismo melodrammatico di stampo neoclassico, fatto di rigorosi pezzi chiusi, con il costante susseguirsi di scena, aria e cabaletta; oltre che di concertati che difficilmente concedono spazio ai movimenti e alla possibilità scenica. La regia gioca di conseguenza ed è sostanzialmente coerente e piacevole, non fuga però il dubbio che si sarebbe potuto osare qualcosa di più: una linea d’intenti forse più contemporanea e moderna, un tentativo di attualizzazione che non si limitasse ad un’ambientazione scenica e di costume, per quanto accurata e di pregio.

I cantanti

Ottima la parte vocale con due protagoniste di eccezione come Lisette Oropesa e Marianne Crebassa, rispettivamente Giulietta e Romeo.

Su tutti spicca il Romeo veramente inarrivabile di Marianne Crebassa, sia per linea di canto che per autorevolezza scenica e aderenza con il difficile personaggio en travesti. La Crebassa sfoggia una voce salda, omogenea, densa e pastosa, con gravi sonori e timbrati; per poi salire senza sforzo apparente ad acuti scintillanti. Una grande prova per lei che fa di colpo dimenticare le schiere di pur valenti interpreti precedenti, ma assolutamente inadatte al ruolo scenico. La Crebassa, forte anche di un fisico adatto al ruolo, si è preparata con accuratezza, restituendoci una perfetta e credibile figura di giovinetto focoso, irruente e appassionato. Spavalda e quasi violenta nelle parti di confronto con i nemici Capuleti, sa poi piegare la voce e il personaggio al disperato dolore davanti alla tomba dell’amata Giulietta, per poi azzeccare una scena della morte in cui la voce, sorretta da un filo di fiato, muore lentamente in un soffio che si ode in tutta l’ampia cavea della Scala. Assolutamente un nuovo e difficilmente eguagliabile punto di riferimento per l’interpretazione contemporanea del Romeo belliniano.

Accanto a lei la grandissima Giulietta di Lisette Oropesa, dolente e appassionata, ci regala una voce calibrata e omogenea in tutti i registri costruendo insieme alla Crebassa una coppia di amanti assolutamente credibili e in parte. La Oropesa cesella le note, gorgheggia senza sforzo, sorretta da una tecnica assoluta che le permette di sgranare le note con l’impulso vero del belcanto, per cui riesce a rendere credibile la drammaturgia musicale insita nel canto belliniano. Una prova maiuscola anche per lei.

Da brivido la scena finale in cui le due cantanti danno il meglio, seguendo il dettame di una musica che si stacca dagli stilemi tradizionali, non per niente a lungo questo finale troppo innovativo fu sostituito da quello di Nicola Vaccaj, per diventare moderna, netta, veloce, scolpita nella parola drammatica; facendoci presagire con rimpianto quale innovatore sarebbe potuto diventare il musicista catanese se fosse vissuto oltre i suoi trentaquattro anni.

Il cast era poi magnificamente completato dal Lorenzo autorevole di Michele Pertusi, che, pur nella piccola parte, si impone con una linea di canto nobile e sorvegliata in cui dà ampio respiro ad una voce articolata, chiara, sempre sulla parola e dal fraseggio impeccabile. Accanto a lui l’altro basso era il Cappelio del coreano Jongmin Park, dotato di voce scolpita e tonitruante, che propone un padre duro e arcigno riempiendo la cavea scaligera con una voce torrenziale. Tebaldo era il tenore cinese Jinxu Xiahou che ha ben cantato, senza tuttavia imporsi a livello degli altri interpreti.

Speranza Scappucci, subentrata in corsa all’indisposto Evelino Pidò, dirigeva l’orchestra della Scala con autorevolezza e concretezza, facendo brillare le melodie belliniane con ampi archi sonori e un buon amalgama armonico fra le varie parti dell’orchestra. Attenta al rapporto con il palcoscenico, la musica era sempre ben calibrata con le possibilità dei cantanti, che non venivano mai sovrastati dall’orchestra. Ottimo l’apporto del coro scaligero.

Molti applausi nel finale e una vera ovazione per le inarrivabili protagoniste Lisette Oropesa e Marianne Crebassa.

Raffaello Malesci (23 Gennaio 2022)