Recensioni - Opera

Dopo lungo tempo la rondine è tornata al nido

Piacevole riscoperta della partitura pucciniana nel felice allestimento della Fondazione Arena di Verona

La rondine è l’unico titolo di Giacomo Puccini tra quelli appartenenti al periodo della maturità -seguiranno solo Il Trittico e l’incompiuta Turandot- a non godere di particolare fortuna sui palcoscenici.
Nata da una commissione proveniente da Vienna per un’operetta -progetto che Puccini non prese mai veramente in considerazione, orientandosi fin da subito in direzione della commedia lirica- l’opera, che debuttò all’Opéra di Monte Carlo nel 1917, andò incontro ad altre due revisioni che però non conobbero fortuna, pertanto quella che si ascolta abitualmente in teatro è la prima edizione.

La trama narra di Magda, mantenuta parigina che si innamora di Ruggero, giovane ed appassionato idealista che crede nell’amore e nei valori della famiglia. I due si trasferiscono in Costa azzurra ma, una volta che il ragazzo comincia a parlare di consenso della madre al matrimonio e di bambini, Magda si rende conto che non è quello il futuro che vuole, quindi accetta l’offerta del suo vecchio protettore e torna alla vita di un tempo. Una storia borghese, attraversata da una sottile ironia -gustosissima la contrapposizione con i due amanti Lisette e Prunier, una sorta di Marcello e Musetta più disincantati- in cui per una volta non muore nessuno, anche se non vivranno tutti felici e contenti.

Poiché gli anniversari devono essere anche occasione di riscoperte e, tolti i giovanili Edgar e Le villi, pressoché ignorati da tutti i teatri, La rondine è l’unico titolo pucciniano a non essere stabilmente in repertorio, ben tre fondazioni liriche (Torino, Verona e Milano) e due teatri di tradizione (Pisa e Jesi) l’hanno inserita nella stagione del centenario della morte del compositore lucchese.
Va detto che l’opera, pur non essendo un capolavoro assoluto, è una partitura che vanta più di un motivo di interesse: dalle scene corali in cui il canto di conversazione è punteggiato di ritmi di danza in voga all’epoca tra cui walzer, couplets, one-step, slow-fox, a sottolineare l’atmosfera frivola e leggera della società in cui si dipana la vicenda, ai momenti più lirici in cui emerge la sempre ispirata vena melodica di Puccini.

Un’opera musicalmente non facile che necessita di una bacchetta particolarmente attenta a rendere le varie atmosfere di leggerezza, vacuità, passione, ironia, disincanto che si incrociano ed a volte si sovrappongono creando momenti sulla carta parecchio gustosi. Purtroppo nell’edizione coprodotta dalla Fondazione Arena di Verona e dal Teatro Coccia di Novara che ha debuttato al Teatro Filarmonico di Verona questo è mancato nella concertazione di Alvise Casellati che, oltre ad eccedere nei volumi -spesso i cantanti faticavano a superare il muro orchestrale- è stato artefice di una lettura corretta ma abbastanza anonima, priva di quelle sfumature che la partitura richiederebbe.

Decisamente più a fuoco il cast su cui spiccava nel ruolo della protagonista una Mariangela Sicilia in stato di grazia. Qui al debutto nel ruolo, che ad aprile canterà anche alla Scala, il soprano calabrese, grazie ad un’emissione impeccabile ed un fraseggio ricco di colori ha delineato una Magda musicalissima e magnetica sulla scena.  Decisamente apprezzabile anche il Ruggero di Gaetano Salas, dotato di un bel timbro squillante e dal fraseggio ben articolato. Ben a fuoco anche la coppia dei due giovani amanti: Eleonora Bellocci è stata una Lisette tutto pepe ma mai caricaturale, mentre Matteo Roma, ad onta di qualche screziatura negli acuti, ha delineato un Prunier simpaticamente dandy. Vero è che con una maggiore complicità ed ironia da parte dell’orchestra anche i loro siparietti sarebbero risultati ancora più briosi. Gëzym Myshketa ha conferito autorevolezza al personaggio di Rambaldo, mentre tra i comprimari spiccavano per verve le tre amiche interpretate da Amelie Hois, Sara Rossini e Marta Pluda.
Buona la prova del coro diretto da Roberto Gabbiani.

Lo spettacolo di Stefano Vizioli scorreva sui binari di una solida tradizione. I costumi di Angela Buscemi e le scene di Cristian Tarraborelli, che si ispiravano a dipinti di Modigliani e Magritte, spostavano la vicenda ai primi anni ’20 del secolo scorso. Un’impostazione che non disturbava ma nulla aggiungeva alla storia. Tuttavia il buon lavoro sugli interpreti conferiva al tutto una certa spigliatezza che rendeva l’aspetto visivo estremamente godibile.
Calorosa al termine la risposta da parte di un Teatro Filarmonico pieno solo in parte, con meritate ovazioni per Mariangela Sicilia.