Recensioni - Opera

Elektra nell’incubo della psicanalisi

Lettura in chiave moderna del testo di Hofmannsthal nell’allestimento curato da Carmelo Rifici in scena al Teatro Sociale

Rivedo Elektra di Hofmannsthal nell’allestimento di Carmelo Rifici a Brescia al Teatro Sociale la penultima sera della sua tournée dopo aver assistito al suo debutto al Teatro Olimpico di Vicenza lo scorso autunno e devo dire che il poter godere dello spettacolo con la sua scenografia originale non è differenza da poco.

All’Olimpico si sa, bisogna sempre fare i conti con la scena dello Scamozzi che, da capolavoro quale è, costringe qualunque allestimento ad un’impostazione molto classica, non potendovi aggiungere alcun elemento, poiché quest’ultimo striderebbe in maniera fastidiosa oppure verrebbe totalmente fagocitato.
In quell’occasione avevo quindi assistito ad uno spettacolo ottimamente recitato, dagli spunti registici intriganti e mi ero beato della visione di uno spazio teatrale unico al mondo. Stavolta invece ho rivisto l’azione all’interno della suggestiva scenografia progettata da Guido Buganza e, inevitabilmente, il progetto è apparso più coerente e compiuto.
L’ambiente in cui si svolge la vicenda è una sorta di ospedale psichiatrico dalle linee asimmetriche che ricorda il Gabinetto del Dottor Caligari, all’interno del quale le tre dimensioni non sono più rispettate. Infatti alcuni ambienti sono visti di lato mentre altri dall’alto, in un gioco di prospettive irreali ed antinaturalistiche. Ovunque vi sono macchie di sangue, testimonianze di quegli episodi di macelleria umana che chiunque conosca la storia degli Atridi ben ricorda.
La regia usa  molto intelligentemente lo spazio, sfruttando spesso come luogo di ingresso alcune porte che, anziché essere disposte in verticale sono sistemate orizzontalmente e quando vengono aperte ricordano delle tombe dalle quali escono i non morti che popolano questo universo.
La lettura di Rifici punta molto sulla chiave psicanalitica del dramma: Hofmannsthal apparteneva alla Vienna di Freud e quindi anche la sua riscrittura dell’originale greco va in quella direzione. Se Elektra vive quel rapporto con il padre prendendo spunto dal quale nascerà il “complesso di Elettra”, Crisotemide invece è una bambina mai cresciuta, mentre nella memoria di Clitemnestra iniziano ad affiorare i primi sintomi di quella che in futuro verrà riconosciuto come demenza senile.
Elisabetta Pozzi, straordinaria e magnetica nella sua interpretazione, delinea un’Elektra dai tratti virili e decisi. È lei l’uomo della famiglia, infatti se la Crisotemide di Marta Richeldi è ancora persa nel suo mondo di bambole anche l’Oreste di Alberto Onofrietti è personaggio tutt’altro che maschile e la sua azione è totalmente guidata dalla volontà, per non dire dalla stessa mano, di Elektra. Clitemnestra è interpretata dalla bravissima Mariangela Granelli che, nonostante la maschera che le copre completamente testa e viso, delinea un personaggio ricchissimo di sfumature e contribuisce a fare del suo dialogo con Elektra il momento più alto dello spettacolo. Efficace l’Egisto di Alberto Fasoli ed ben calibrao l’apporto delle serve, ovvero Francesca Botti, Giovanna Mangiù, Silvia Masotti, Chiara Saleri, Lucia Schierano.
Da sottolineare anche le ottime musiche composte da Daniele D’Angelo che creano una sorta di spazio sonoro all’interno del quale si svolge l’azione, dal martellante e meccanico ticchettio che apre lo spettacolo e che sottolinea il clima da incubo in cui è immersa l’azione, al lirico tema di Elektra al catartico valzer finale.
Il Teatro Sociale, quasi esaurito ha decretato un successo senza riserve a tutto il cast.

Davide Cornacchione 4 febbraio 2012