Recensioni - Opera

Energia teatrale al profumo di Tartufo

Il Centro Teatrale Bresciano affida ad un gruppo di giovani attori la nuova produzione del capolavoro di Molière

In seguito alla felice esperienza di Mythos dello scorso anno, il CTB ha deciso di riconvocare una selezione degli attori che parteciparono a quello spettacolo ed allestire una nuova produzione di Tartufo di Molière, sempre con la regia della coppia Elena Bucci-Marco Sgrosso, seguendo il principio per cui “squadra che vince non si cambia”.

Prima di addentrarmi nel commento dello spettacolo vorrei però concedermi una manciata di parole per applaudire l’iniziativa: compito di un Teatro Stabile è infatti anche quello di valorizzare le realtà (ed i talenti) locali. Il fatto che poi non lo faccia nessuno non dovrebbe costituire un valido alibi per disinteressarsene,  quindi, ben venga l’iniziativa del CTB! Il passo successivo sarebbe a questo punto tentare di far circuitare queste produzioni ma non chiediamo troppo, per ora limitiamoci ad augurare continuità negli anni al progetto.
La prima sensazione che si avverte assistendo a questo Tartufo è la straripante energia trasmessa dai giovani attori che vi recitano: l’energia di chi quotidianamente è alla ricerca di un’occasione per potersi esprimere ed è costretto per 11 mesi all’anno al silenzio da una realtà teatrale (quella italiana) ai limiti dell’eutanasia.
I due registi sfruttano al massimo queste potenzialità creando uno spettacolo estremamente fisico, in cui tutti sono sempre in scena e spesso partecipano come un coro anche agli episodi in cui non sarebbero coinvolti, in un continuo mutare di coreografie e sghimbesci tableaux vivants.
Già all’apertura del sipario si intuisce che il ritmo dello spettacolo sarà estremamente sostenuto: testo che viene snocciolato quasi a macchinetta e via vai di attori  che si susseguono a ripetizione, come in un “carillon isterico”, contrappuntato da musiche barocche su cui spicca il bellissimo concerto per due violoncelli di Vivaldi utilizzato come leitmotiv di Tartufo.
In tutto questo si ravvisano i pregi ed i limiti della produzione: un lavoro intrigante su fisicità e plasticità, complici le essenziali scenografie ottimamente illuminate da Cesare Agoni e gli eleganti costumi (ma perché quegli stivaletti moderni ai piedi dei maschi?!), al quale però non ha secondo me corrisposto altrettanta attenzione nel delineare i singoli personaggi.
Un Tartufo più da vedere che da ascoltare? Per certi aspetti forse sì. In più di un’occasione si è infatti avuta la sensazione di una certa verbosità, insita nel testo e non pienamente risolta.
Monica Ceccardi (Madleine Bejart e Madame Pernelle), Matteo Bertuetti (Valère), Filippo Garlanda (Cleante) e il pur efficace Fausto Cabra (Orgon) hanno esibito dizione e tecnica impeccabili, che però sono spesso rimaste imbrigliate in un testo che non hanno completamente dominato, ancorate ad una recitazione in costante mezzo-forte che non ha permesso loro tutte le sfumature che i rispettivi ruoli avrebbero richiesto.
Esattamente agli antipodi il Damìs di Gianmarco Pellecchia, la cui energia ed il cui indiscutibile istinto teatrale tradivano un non perfetto inquadramento tecnico.
Dovendo quindi esprimere le mie preferenze,  queste andrebbero a l Tartufo di Gabriele Reboni, alla Dorine di Francesca Cecala, alla Marianne di Silvia Quarantini ed alla Elmire di Alessandra Mattei, che sono riusciti a delineare in modo più sfaccettato i loro personaggi  (personalmente ho trovato i due dialoghii Tartufo-Elmire come i momenti migliori dello spettacolo).
Ho trovato invece troppo aggressiva e sopra le righe la Madame Loyale di Fabrizia Boffelli, ma va anche detto che le sue scene si svolgono nella seconda parte, ovvero nel momento in cui lo spettacolo imbocca la via di una comicità surreale ai limiti dello slapstick.
Il passaggio dalla drammaturgia-patchwork di Mythos al testo compiuto è stato sicuramente un balzo in avanti per questo nuovo “Progetto giovani” del CTB, che probabilmente servirà anche per capire quali sono gli aspetti da mettere a fuoco in funzione di un prosieguo dell’esperienza.
Questo comunque non ha impedito che un Teatro Santa Chiara pressoché esaurito decretasse al termine il meritato successo dello spettacolo chiamando ripetutamente gli attori a proscenio.

Davide Cornacchione 3 dicembre 2013