Recensioni - Opera

Erl: Don Pasquale senza commedia

Messa in scena cerebrale ed estetizzante per il capolavoro comico di Donizetti

Per la stagione invernale i Tiroler Festspiele Erl propongono il Don Pasquale, ultima opera buffa di Gaetano Donizetti in una versione curata dalla regista Caterina Panti Liberovici e concertata da Giuliano Carella.

Don Pasquale passa alla storia come ultima grande espressione dell’opera buffa, genere che sta già mutando ai tempi della composizione e che di lì a breve lascerà il posto prevalentemente all’opera seria. La composizione risale al 1842 con prima rappresentazione a Parigi nel Gennaio del 1844. Nonostante un’indubbia evoluzione verso la commedia borghese, caratterizzata da accenti malinconici e da personaggi meno caratterizzati e più sfaccettati rispetto anche ai lavori più celebri di Rossini, Don Pasquale resta in tutto e per tutto una formidabile farsa che affonda le radici nella grande tradizione del teatro italiano e della commedia dell’arte.

Non così la pensa Caterina Panti Liberovici, che sceglie un taglio psicologico, estetizzante e meta teatrale. Infatti la scena, curata da Sergio Mariotti, presenta un proscenio, che funge da casa di Don Pasquale, affacciato su un teatro con tanto di velari a fare da fondali e da sipario. Tutta la drammaturgia viene perciò giocata sull’alternanza di scene che si svolgono in casa (luogo della realtà?) e sul palco di un teatro (luogo della finzione?). Gli innamorati sono poi sdoppiati: sia Norina che Ernesto hanno un loro doppio che talvolta agisce sul finto palcoscenico, talvolta si spinge oltre lo stesso palco. Si intuisce poi vagamente che Don Pasquale, spesso intento a scrivere, potrebbe essere lo stesso Donizetti, già invecchiato e con le avvisaglie della sifilide, che compone la sua ultima opera buffa.

La regista non ha timore di rinunciare alla precisa drammaturgia della farsa: elimina il coro, presente solo in buca, e di conseguenza tutti i servitori, elimina la scena del finto matrimonio con tutti i suoi equivoci, sostituendola con una pantomima slegata dal libretto, elimina il famoso schiaffo di Norina a Don Pasquale sostituendolo con un effetto luce.

Di contro purtroppo il team Caterina Panti Liberovici e Deborah Einspieler, che firma la drammaturgia, non riescono a costruire una drammaturgia alternativa funzionale e interessante. Il tutto risulta confuso e sostanzialmente estetizzante, con un ripetuto alternarsi fra proscenio e finto teatro, l’utilizzo poco originale di rimandi alle maschere veneziane della commedia dell’arte con inevitabile effetto da carnevale turistico. Ne consegue che la storia non si segue più, per cui l’opera si risolve in un susseguirsi di giochi di pose fra finto e vero teatro, con luci sempre cupe e personaggi che agiscono diligentemente, ma non hanno mai la possibilità di far correre la commedia.

Il cast vocale si destreggia con professionalità in questa messa in scena, in particolare l’ottimo Nicolas Legoux nei panni del Dottor Malatesta, che sfoggia una voce ampia e ben impostata. Don Pasquale era Donato di Stefano, dalla voce sonora e accattivante, ma inevitabilmente frenato dalla messa in scena. Buona la prova di Bianca Tognocchi, una Norina musicale e appropriata con qualche fissità di troppo negli estremi acuti. Inesperto l’Ernesto di Brayan Avila Martinez.

Puntuale la direzione di Giuliano Carella. Il rapporto fra buca e palcoscenico non era tuttavia sempre a fuoco, con l’orchestra che spesso sovrastava i cantanti.

Ottimo successo nel finale.

Raffaello Malesci (27 Dicembre 2022)