Recensioni - Opera

Ernani di livello internazionale al Filarmonico di Verona

Sontuosa messa in scena di Stefano Poda e ottima compagnia di canto

La Fondazione Arena, diretta da Cecilia Gasdia, porta al Filarmonico di Verona una produzione di livello per L’Ernani di Giuseppe Verdi. L’ente veronese, che produce lo spettacolo in dorata solitudine, si conferma fra le fondazioni liriche di maggior qualità e di livello internazionale, non solo per il grande teatro di repertorio estivo in Arena, ma ora anche per le produzioni invernali al Teatro Filarmonico.

Impegno produttivo e organizzativo di primo livello per il sontuoso e complesso spettacolo firmato Stefano Poda, che, dopo i successi estivi, si confronta con il Teatro Filarmonico. Cecilia Gasdia non solo ha riportato da qualche anno i grandi nomi della lirica in Arena, ma è anche capace di scelte artistiche chiare, chiamando artisti di livello internazionale al cimento di messe in scena innovative e alla ricerca di un nuovo linguaggio contemporaneo per l’opera. Questo senza dimenticare il grande teatro di repertorio con la ripresa estiva delle messe in scena storiche e tradizionali.

In questo senso Stefano Poda è sicuramente un grande uomo di teatro, nella sua concezione di opera d’arte totale, di cui cura regia, scenografia, luci e costumi. L’artista ha una sua cifra stilistica ben chiara, saldamente direzionata, messa in pratica con rigore, che, come è giusto, suscita controversie, scatena discussioni. Insomma è motore di un teatro vivo, non di imbalsamati e rassicuranti recuperi storici o di raffinati quanto statici tableaux vivant.

Per questo Ernani Stefano Poda torna a stilemi a lui cari, ovvero il contrasto di forze opposte, il bianco e il nero. Il riferimento è letterario e riportato all’inizio sullo sfondo della scena: la “Battaglia d’Hernani”, che si scatenò nel 1830 fra classicisti e innovatori in occasione delle repliche parigine dell’Hernani di Victor Hugo, da cui poi Francesco Maria Piave trasse il libretto per l’opera verdiana. Contrasto di cultura e di visione, contrasto fra modernità e tradizione. Contrasto fra “scatole” mentali, che nello spettacolo si trasformano in immense scatole sceniche sovrapposte fra loro: l’una bianca, storicizzante, adorna, dietro vetri traslucidi, delle statue della classicità; l’altra nera, opprimente, con i circuiti di un calcolatore elettronico che si illuminano di sinapsi mentali inquietanti. Forse anche nostalgia per un teatro che creava passioni, suscitava discussioni, scatenava corto circuiti.

Poi l’Ernani di Poda è teatro mimico, di movimento, di tensione: si muovono i mimi, ma si muove anche il coro e bene, cosa più unica che rara per gli immobili e refrattari cori italici. Di nuovo c’è la tensione, il contrasto fra un teatro vivo, pulsante e il concerto in costume dei nostalgici dell’opera, oggi come allora al debutto dell’Hernani di Victor Hugo. La pedana rotante profuma di Mitteleuropa ed è efficace nel produrre il moto perpetuo delle emozioni musicali, con i mimi che cadono e si rialzano in una visione astratta ma compiuta della violenza e della sopraffazione: il cadere e rialzarsi dell’uomo nell’eterno circuito dei contrasti, dei soprusi, del sangue. Pistole fumanti che non fanno rumore, ma che simboleggiano la violenza; lacci che ingabbiano Elvira, la stringono in un cerchio maschile inesorabile.

I libri sono onnipresenti, disposti come lapidi all’inizio: inutili scrigni di sapere che non riescono a dare soluzione alle brucianti passioni umane. Nel finale appare Carlo Magno, la redenzione, il simbolo di pacificazione, l’acquetarsi delle lacerazioni dell’anima davanti ad un ideale di pace. Ma il mitico imperatore, il simbolo, viene chiuso in una immensa teca a specchio, che riflette la platea del teatro. Ritorna poi inesorabile la realtà: Silva, con la sua spietata sete di vendetta. Come a dire che l’ideale di pace e riconciliazione è possibile solo nella storicizzazione del passato, innocuo perché ormai racchiuso in un libro o in un museo. La tragedia è compiuta ed è senza soluzione: i libri si strappano, Ernani non muore ma entra anch’esso nella teca, viene consegnato all’eternità del personaggio letterario, del mito. Simbologia potente, estetica, chiara, sublime per chi ha voglia di guardare, di farsi stupire. A chi, invece, ha già in testa la sua idea di opera, i suoi costumi, le sue scene, le sue pose rassicuranti, gli spettacoli di Poda non potranno mai parlare. A costoro non resta che chiudersi nella propria “scatola” mentale, che è immobilismo, monocromia.

Ottima e di primo livello la compagnia di canto. Iniziando da Antonio Poli (Ernani), che sfoggia una voce di schietto timbro tenorile, accattivante, sonora e timbrata. La parte è impervia, ma dominata con tecnica e maestria. Olga Maslova è Elvira, timbro brunito, voce svettante e giusta energia per lei.

Perfetto vocalmente il Don Carlo di Amartuvshin Enkhbat, voce immacolata, potente, controllata sul fiato. Completamente distaccato scenicamente, ma è caratteristica ormai assodata di questo cantante. Silva imponente e corrusco quello di Vitalij Kowaljow. Ottimo anche il resto del cast: Elisabetta Zizzo, Saverio Fiore, Gabriele Sagona.

Corretta ma senza particolare slancio la direzione di Paolo Arrivabeni.

Ottimo successo nel finale con molti festeggiamenti per i cantanti.

Raffaello Malesci (Venerdì 19 Dicembre 2025)