Recensioni - Opera

Felice ritorno della Bohème del centenario

L'allestimento firmato da Giuseppe Patroni Griffi nel 1996 conquista ancora il pubblico del Teatro Regio 

In una Torino freddina e nebulosa va in scena, la sera di mercoledì 25 ottobre, la terza recita de “La Boheme” di Giacomo Puccini, Opera in quattro quadri su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, che fa registrare la prima uscita del cast principale (lo sciopero a cui hanno aderito i lavoratori del Teatro Regio lo scorso 21, indotto da motivazioni legate al rinnovo del CCNL, aveva infatti determinato l’annullamento della rappresentazione d’esordio). Non c’e sold out: alcuni posti in teatro sono liberi.

L’allestimento proposto è quello storico, risalente al 1996 (anno in cui si è festeggiato il centenario della prima messa in scena assoluta de “La Boheme”, avvenuta proprio al Regio di Torino il primo febbraio 1896), con una produzione che vide sul palco, tra gli altri, Luciano Pavarotti e Mirella Freni, curato dal compianto regista Giuseppe Patroni Griffi e ripreso, per l’occasione, da Vittorio Borrelli. Un allestimento riuscito, perché riproduce in maniera ottimale l’ambiente della Parigi dell’Ottocento senza stravolgere alcunché.

Concertata dal Maestro Andrea Battistoni, la recita si avvale della bella prova dell’Orchestra del Teatro Regio (notevole anche l’impegno del coro e delle voci bianche), e della buonissima performance dei membri del cast i cui protagonisti principali sono stati oggetto delle ovazioni di un pubblico che ha scelto di trascorrere una serata animata dal suono delle dolcissime melodie targate Puccini.

Il soprano Erika Grimaldi ha portato in vita una delicata e tenera Mimì. La “beniamina del Regio”, come è conosciuta da queste parti la Grimaldi, colpisce in tanti: la dizione è ottima, precisi i filati e l’esecuzione delle note ornamentali, alcune davvero impercettibili, robusti e mai invadenti gli acuti. Chi attendeva il canto delle arie “Mi chiamano Mimì” e “Donde lieta uscì”non avrà lasciato deluso il Regio. Ottima anche l’interpretazione del personaggio, da parte del soprano astigiano: la Mimì del primo e del secondo quadro è una donna malandata ma graziosa, tenuta in piedi da un amore sbocciato d’improvviso e che le riempie l’intimo di gioia, mentre nel terzo e nel quarto quadro è piegata dalla malattia e suscita forte compassione. Anche la morte in scena è terribilmente reale. Mimì, distesa a letto, solleva il petto in fuori per ricadere poi esanime col capo rivolto verso gli spettatori.

Grimaldi trova nel tenore Liparit Avetisyan un degno partner. Il giovane tenore armeno presenta in Rodolfo un personaggio in grado di adattare al meglio atteggiamenti e movenze in base alle situazioni che attraversa. Nella soffitta, all’inizio del primo quadro ci appare gioioso e giocoso poi, appena incontrati gli occhi di Mimì e resosi conto delle sue precarie condizioni di salute, si mostra premuroso e finisce con l’innamorarsi perdutamente di lei, al punto da portarla subito al quartiere latino (secondo quadro), presentandola agli amici. Nel terzo quadro Rodolfo cerca di fingere una gelosia che in fondo avverte nei confronti della sua amata, che “sgonnella e scopre la caviglia” provandoci con tutti.  Ma il sentimento che lo possiede è un amore misto al dolore perché “la povera piccina è condannata” alla morte, schiacciata dalla tisi.L’urlo di disperazione nel finale, con l’invocazione del nome dell’appena defunta ricamatrice, è da brividi.
Avetisyan è bravo e lo dimostra. Alcune volte, si lascia trasportare troppo dalle emozioni vissute dal suo Rodolfo e imprime al canto un vigore forse un po’ eccessivo. L’aria “Che gelida manina” è interpretata con accortezza, evidenziando appieno la grazia di questa celebre pagina di musica. Da menzionare anche lo straziante duetto con Marcello, nel cuore del terzo quadro.

Una delle parti più belle dell’Opera, quella, a cui segue l’intenso duetto con Mimì che si conclude con la sofferta decisione presa dalla coppia di lasciarsi (ma in primavera, quando le giornate si allungano. L’inverno è già triste di suo!). In quel momento, però, un’altra coppia sta per salutarsi: Marcello e Musetta. Questi ultimi si separano riempendosi di insulti (Marcello addirittura le tira dietro l’ombrello). Nasce un quartetto composto da persone in crisi, retto da una musica spettacolare. Due storie d’amore si concludono nello stesso istante, ma la separazione è ponderata e accettata con calma e rassegnazione da Rodolfo e Mimì, mentre Marcello e Musetta si dicono addio offendendosi vicendevolmente.

Convincente la prestazione del soprano Federica Guida. La sua Musetta, che compare nel secondo quadro, nella coloratissima ambientazione del quartiere latino, riesce a catturare subito l’attenzione del pubblico. Voce squillante, personalità, carisma e un pizzico di sensualità le qualità emergenti dalla sua performance. La coinvolgente aria “Quando me n’vo” rivela una delle tante perle offerte dagli artisti agli spettatori presenti al Regio. Musetta di cognome si chiamerà pure “Tentazione”, ma dimostrerà con i fatti, e sarà Mimì a farlo notare, che è assai buona, generosa e altruista.

Il pittore Marcello è impersonato dal baritono Andey Zhilikhovsky. Il suo personaggio si configura come una spalla perfetta per Rodolfo, è un sincero amico col quale confidarsi.

Tra gli artisti che svolgono un ruolo relativamente secondario rispetto ai quattro sopracitati, si menziona il basso Riccardo Fassi (Colline), a cui tocca interpretare la simpatica (ma intrisa di un sentimentalismo che non è lecito condannare) romanza “Vecchia zimarra”, i cui accordi conclusivi saranno ripresi da Puccini per concludere l’Opera. A completare il cast il bravo Nicolò Ceriani (Benoit e Alcindoro), Manel Esteve (Schaunard), Luigi Della Monica (Parpignol), Franco Rizzo (Sergente dei doganieri), Riccardo Mattiotto (un doganiere).