Recensioni - Opera

Fellini per Pagliacci e un mondo a tinte grigie per Cavalleria

Torna l’opera in Arena e già questa è una buona notizia. Ottime voci per il dittico Cavalleria e Pagliacci, mentre gli allestimenti risentono ancora della situazione emergenziale.

L’opera in Arena è tornata, sul palco, orchestra completa, ancora parecchie limitazioni; ma il carrozzone scaligero è ripartito. Della situazione contingente ne risentono ancora le messe in scena, non a caso non firmate da nessun regista, ma semplicemente targate “nuovo allestimento dell’Arena di Verona”. Sul versante canoro si nota invece la mano esperta di Cecilia Gasdia, che da qualche anno riesce a convogliare a Verona le voci migliori e a creare quasi per ogni serata cast di assoluto valore e interesse.

Star annunciata della serata per il dittico verista era il tenore armeno Yusif Eyvazov, che ha affrontato entrambi i ruoli con baldanzosa convinzione sorretto da una voce potente e omogenea. In Cavalleria Eyvazov si è distinto nella romanza finale “Voi lo sapete o Mamma”, mentre in altre parti di maggior baldanza, quali il brindisi, è risultato più affaticato e contratto. Comunque una buona prova complessiva per lui, affiancato dal soprano Maria Josè Siri, debuttante nel ruolo di Santuzza. La Siri ha disegnato una Santuzza interessante e sfaccettata, fin troppo intimista a tratti per gli ampi spazi dell’arena. Sebastian Catana era un Alfio tonitruante e di poca raffinatezza anche scenica, mentre Agostina Smimmero si segnala per un’intensa Mamma Lucia.

Marco Armiliato era impegnato a tenere insieme orchestra, cantanti e coro, infelicemente piazzato immobile sulle gradinate alla sinistra del palcoscenico. Compito non facile che ha assolto con professionalità, staccando però inevitabilmente tempi troppo lenti che hanno appesantito l’esecuzione generale.

Pur ampiamente giustificato dalla situazione, non possiamo non segnalare che il versante dell’allestimento scenico aveva numerose pecche a partire dal grigiore generale in cui anche i personaggi principali si perdevano di vista. Immancabile la consueta paccottiglia scenica tipica dei più retrivi e polverosi allestimenti di Cavalleria: da improbabili statue della Madonna, fino ai soliti carrettini e ad una profusione di sedie impagliate, immaginario comune di ogni taverna verista. Anche le immagini dei led-wall, che incorniciavano la scena, non andavano oltre un illustrativo bozzettismo di maniera.

Decisamente meglio invece l’allestimento di “Pagliacci”. In questo caso l’ispirazione è felliniana e in qualche modo onirica e surreale. Il tutto è ambientato in un immaginario teatro di posa cinematografico dove sfilano i personaggi-icona delle pellicole di Fellini: da Anita Ekberg, a Zampanò, fino a Giulietta Masina e al Sordi dello Sceicco Bianco. Tonio nel noto prologo manifesto viene immaginato come una sorta di regista che annuncia e dirige l’evento cinematografico. Non mancano tocchi spettacolari tanto amati in arena come la scritta “Pagliacci” creata con i fuochi artificiali. Peccato che nel prosieguo dell’opera la recitazione ritorna classica, a tratti stantia, perdendo ogni riferimento al mondo surreale di Fellini, per poi scadere in una scena finale realmente confusa e troppo affollata in cui tutto il dramma del teatro nel teatro immaginato da Leoncavallo si perde completamente.

Sebastian Catana si riscatta pienamente dalla sbrigativa Cavalleria con una bella interpretazione del prologo e del personaggio di Tonio. Il baritono rumeno in questo caso è riuscito a piegare la grande voce di cui dispone alle giuste sfumature e ad un fraseggio interessante. Più a fuoco nel ruolo di Canio anche Yusif Eyvazov, che brilla nella celebre romanza finale per linea di canto e intensità, ma che si segnala anche per un personaggio delineato con cura anche dal punto di vista scenico. Valeria Sepe ben interpreta Nedda, affiancata dal Silvio coinvolto e dall’ottima linea di canto di Mario Cassi. Professionale il Peppe di Riccardo Rados. Marco Armiliato conferma la direzione eccessivamente riflessiva già ascoltata in Cavalleria.

L’arena, non esaurita pur con le forti limitazioni numeriche imposte, ha tributato un vivo successo per tutti gli interpreti.

R. Malesci (02/07/21)