
Come da tradizione il festival Verdi si sposta a Fidenza, in quel gioiello del Teatro Magnani e come lo scorso anno viene proposta un'opera del maestro in forma di concerto
La scelta è caduta su Attila, una delle composizioni più sanguigne, scritta nei famosi anni di galera e rappresentata nel 1846, prima dei fasti risorgimentali.
Il palcoscenico completamente scoperto del teatro si ammira per il fondale dipinto agli inizi del ventesimo secolo dal pittore Dino Mora, (restaurato nel 2014) e per l'antica camera acustica, composta da 10 tavole interamente dipinte da Girolamo Magnani (ritrovate e recuperate nel 2011) che creano un'atmosfera alquanto magica.
Alla guida dell'Orchestra Filarmonica Toscanini troviamo il maestro Riccardo Frizza. Una concertazione molto precisa, con tutti i daccapo, con tempi corretti e una ricercatezza di colori sin dal bellissimo e affascinante preludio. Ottimo controllo tra buca e palcoscenico, con una giusta attenzione alle voci.
In stato di grazia il coro del Teatro Regio sapientemente diretto da Martino Faggiani, che brilla come sempre per compattezza potenza ed eleganza. Particolarmente incisiva la sezione maschile in "Urli, rapine, gemiti, sangue" e nel finale del primo atto, più delicata quella femminile con "Chi dona luce al cor?".
Il cast vocale è stato dominato dal basso Giorgi Manoshvili. Nei panni del protagonista non ha deluso affatto le aspettative, anzi ha mostrato al massimo i suoi ottimi mezzi vocali. Il timbro brunito, caldo, avvolgente, risulta omogeneo sia nel registro acuto che in quello grave. Di forte impatto la grande scena al primo atto con la cupa aria "Mentre gonfiarsi l'anima" e la cabaletta “Oltre quel limite", risolta con fluido smalto. Molto credibile anche scenicamente, con uno sguardo torvo che amplificava ulteriormente la potenza del suo personaggio.
Ottima anche Marta Torbidoni che torna a Fidenza nel ruolo di Odabella, dopo il successo come Abigaille nel Nabucco dello scorso anno. Il soprano marchigiano dimostra di essere a suo agio nel repertorio verdiano e si conferma come una voce interessante da continuare a seguire. Ci mostra sicurezza sia nelle impervie agilità della cavatina "Santo di patria", che nella liricità della romanza "Oh! nel fuggente nuvolo".
Claudio Sgura ci delinea un Ezio abbastanza convincente, pur non essendo Verdi il suo terreno migliore. L'aria “Dagli immortali vertici” e la successiva cabaletta “È gettata la mia sorte” del secondo atto scorrono via senza particolari problemi, anche se è mancata quella punta di eroismo.
Antonio Corianò si è trovato a sostituire il previsto Luciano Ganci con pochissimo tempo di preavviso e mai come in questo caso risultano perfette le parole di "Salvator della patria". Il suo è un Foresto vocalmente generoso, ma da assestare. Parte sottotono e da buon professionista si riscatta nel terzo atto con una dose di espressività nell’aria “Che non avrebbe il misero”.
Completavano il cast l'Uldino corretto di Francesco Pittari (anche lui chiamato a sostituire Anzor Pilia) e il solido Leone di Gabriele Sagona.
A fine recita un vero trionfo per Manoshvili, calorosi applausi per la Torbidoni e per il magnifico coro.
Marco Sonaglia (Teatro Magnani Fidenza 3 ottobre 2024)