Buon esito complessivo per la produzione di punta del Macerata Opera Festival 2024
Non poteva che essere dedicata a Puccini la produzione di punta dell’estate 2024 a Macerata. Una bella Turandot affidata alla direzione efficace e teatrale di Francesco Iva Ciampa e alla regia dello spagnolo Paco Azorín, coadiuvato per i costumi da Ulises Mèrida.
Il merito principale della buona riuscita dell’opera è sicuramente da attribuire alla direzione e concertazione di Francesco Ivan Ciampa, che riesce ad imprimere un ritmo deciso e un suono preciso e agogico all’orchestra Filarmonica Marchigiana, decisamente più efficace rispetto alle precedenti serate. Direzione moderna, drammatica, attenta al palcoscenico e alle sonorità quella di Ciampa, che riesce anche a tenere insieme lodevolmente un coro a dire il vero non sempre immacolato. Una bella prova per lui.
Paco Azorín dal canto suo azzecca una regia semplice ma efficace. All’interno di una scena fissa, una rossa passerella sopraelevata a forma di pagoda e un’ulteriore pedana centrale, organizza tutta l’azione in modo sempre coerente, preciso e lineare. Il popolo del coro rimane per lo più ai lati del grande palcoscenico, intento alla coltivazione del riso.
All’interno di una solida organizzazione del palcoscenico e dei movimenti di massa, curati da Carlos Martos de la Vega, il regista azzecca alcune idee molto valide, come la presenza di un torturato Principe di Persia durante quasi tutta la parte del primo atto. Principe di Persia, il bravissimo attore e mimo Federico Benvenuto, che viene crudelmente ucciso dalle guardie amazzoni di Turandot. Calaf, il suo successore si piega dolente sul cadavere e qui decide di vendicarlo sfidando Turandot nella tenzone degli enigmi. Una riproduzione simbolica dell’eterna lotta fra sessi insomma.
Anche i movimenti felini e minacciosi di Turandot nella sua prima apparizione appaiono ben calibrati donando spessore al personaggio. Meno a fuoco invece la resa dei tre ministri, che risultano abbastanza generici e troppo dimessi nei costumi. Non so quanto sia felice la scelta di interrompere l’opera dopo il funerale di Liù, proiettando la celebre frase di Toscanini pronunciata in occasione della prima postuma alla Scala.
Si difende con valore la compagnia di canto che ha il suo punto di forza nella Turandot sicura e imponente di Olga Maslova. Il soprano russo ha la capacità di sciabolare le note con sicurezza e spavalderia, dominando la parte con apparente facilità e piglio da protagonista. Classica esponente del canto di matrice slava, la cantante convince appieno, anche se nel fraseggio delle parti più liriche risulta meno efficace.
Al suo fianco sorprende per sicurezza e squillo il Calaf di Ivan Magrì, che riceve molti applausi dopo il “Nessun Dorma”. Voce piena e timbrata, il tenore ascende facilmente alle note alte anche se a volte si percepisce il passaggio. Ottima prova nel complesso anche per lui.
Ruth Iniesta è una Liù corretta e appassionata, mentre Riccardo Fassi risulta generico come Timur. Bravi ma senza verve i tra ministri affidati a Lodovico Filippo Ravizza, Paolo Antognetti e Francesco Pittari. Corretti e convincenti gli altri: Christian Collia (Altoum) e Alberto Petricca (Un Mandarino).
Molti applausi nel finale per tutti.
Raffaello Malesci (Domenica 28 Luglio 2024)