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Giochi di Famiglia: Giro girotondo casca il mondo, casca la guerra, tutti sottoterra

A quanto pare a primavera è abitudine degli abbonati desenzanesi disertare la sala del Paolo VI (o almeno così mi è stato detto in...

A quanto pare a primavera è abitudine degli abbonati desenzanesi disertare la sala del Paolo VI (o almeno così mi è stato detto in biglietteria): peccato! Peccato anche che buona parte dei già pochi spettatori presenti abbia deciso di andarsene a metà rappresentazione e l’abbia fatto assai rumorosamente, disturbando chi aveva deciso di rimanere. D’altronde Giochi di Famiglia è un testo davanti al quale è difficile rimanere impassibili, difficile lasciarselo scivolare addosso per tutta la serata come spesso capita con altri spettacoli. Perché questo ‘feroce circo di bambini’ obbliga lo spettatore a prendere contatto con una materia scomoda e complessa e non offre alternative se non un ascolto attento o l’abbandono della visione.

L’autrice, Biliana Srbljanovic, è nata a Belgrado nel 1970 e forse sono state le violente vicende politiche che hanno travolto negli ultimi anni il suo paese a far maturare in fretta la sua scrittura rendendola corposa e solida come l’opera di un drammaturgo d’esperienza. In Italia è nota soprattutto ai lettori di Repubblica per aver curato il ‘Diario da Belgrado’ nel quale raccontava la vita della città sotto i bombardamenti, durante il conflitto del Kossovo. Grazie alla notorietà acquisita con questa collaborazione sono arrivati nel nostro paese anche i suoi testi teatrali, peraltro già più volte rappresentati nel resto d’Europa, specialmente in Germania. Giochi di Famiglia, scritto nel 1998, sviluppa la sua trama sulla brillante invenzione di presentare una serie di quadri di famiglia diversi e tra loro indipendenti come fossero il tipico gioco infantile della mimesi del mondo adulto. Quattro bambini, si ritrovano puntualmente, rispettando il ritmo di un rituale segreto, in uno scantinato buio e caotico, affollato da scatole di cartone e oggetti abbandonati ma rivitalizzati dalla magia della loro attività ludica.
La vicenda muove dunque su questi due piani – gioco e realtà concreta – e la regia di De Capitani offre alle quattro bravissime interpreti un impianto efficiente e ben comprensibile al pubblico, all’interno del quale si muovono sicure, trasmettendo la sensazione di un ottimo affiatamento e catturando lo spettatore nel vortice emotivo generato dalla scrittura fin dalle prime battute. Indossando maschere e parrucche, i personaggi bambini mutano aspetto ed età ma non nome, interpretando, nel gioco della famiglia, il ruolo di madre – Milena (Cristina Crippa), padre – Vojin (Anna Coppola), figlio Andrija (Elena Russo) e della bambina-cane – Nadesdza (Corinna Augustoni). Sei sono le situazioni proposte che indagano il malessere della cellula base di ogni società civile – la famiglia – esacerbando i conflitti latenti, sottolineando la violenza implicita nell’opposizione dei ruoli, mostrando una serie di scene realistiche e al tempo stesso surreali proprio perché la lettura delle vicende, assumendo le caratteristiche tipiche dello sguardo infantile, conduce i personaggi fino al loro estremo negativo con lucidità, senza falsi pietismi.
E’ infatti peculiare dei bambini ripetere, il più fedelmente possibile, gesti e parole dei propri genitori senza sapere cosa essi significhino realmente. Resta così allo spettatore la sconcertante sensazione di vedersi sul palco, colto nei propri atteggiamenti tipici, senza le comode mediazioni cui siamo abituati, o di veder rappresentati gli stili di vita di conoscenti e vicini di casa. La guerra serpeggia sullo sfondo, la si intuisce più o meno apertamente da certi discorsi, tuttavia non è l’argomento principale. Ne consegue che la società descritta non è poi così distante dalla nostra. Il nostro essere ‘in pace’ non ci ha portato a vivere in modo troppo diverso da queste famiglie che insegnano ai propri figli l’indifferenza, l’omertà e il cinismo; che cercano la felicità nel continuo accumulo di denaro; che vivono nella paura di esprimere liberamente le proprie idee riducendosi ad obbedire in silenzio; che si imbottiscono di psicofarmaci per resistere ai propri incubi…

A questa visone allucinata, si affianca la vita reale dei bambini descritta e riassunta drammaticamente nell’incontro tra Adrija e Nadesdza, la bambina afasica, un rapporto che si costruisce nelle pause del gioco e che prende le mosse dall’impossibilità di stabilire una vera comunicazione verbale, Adrija si trova così a tentare di sopraffare, forse suo malgrado, anche sul piano sessuale, la piccola. Facendo da contrappunto alla vicenda principale questa seconda storia accentua il contrasto tra la grande abilità dei bambini nell’imitare, nella finzione, i rapporti interpersonali e la loro totale incapacità di gestirli nella realtà concreta, nel momento in cui subentri una novità in grado di turbare il prestabilito copione. Nadesdza diventerà così, proprio perché muta e spaventata e dunque più debole degli altri, il maltrattato cane di famiglia.

Considero Giochi di Famiglia uno dei migliori spettacoli visti durante questa stagione, sia per l’eccezionale bravura delle interpreti che per l’ottima ed essenziale regia di De Capitani che ha saputo con dosati interventi restituire tutta la forza d’impatto di un testo straordinario. E’ stato davvero un piacere scoprire nel poco rappresentato panorama della drammaturgia contemporanea una giovane autrice già così capace; ed è stato ancora più piacevole poter assistere ad un simile spettacolo in una città di norma assai poco disponibile a farsi attraversare da fermenti culturali come hanno ben dimostrato una sala semi deserta e l’esibita maleducazione di chi non è riuscito a rimanere fino alla fine.

Elisa Rocca
Desenzano, 13 marzo 2002