Recensioni - Opera

Grande successo per Due Foscari a Piacenza

Il Teatro Municipale di Piacenza è un capolavoro architettonico ed acustico, e come un portagioie, mette sempre in scena dei gioielli

Quest’anno festeggia i suoi 220 anni di vita e l’opera I Due Foscari, ultima della prima parte della stagione, ha pienamente onorato questo anniversario.

Con quest’opera Verdi dice la sua sulla politica. Francesco Foscari viene da una famiglia di Dogi e lui mette lo stato su tutto, come scelta prioritaria, ed è pronto a sacrificare la sua famiglia per il bene della patria. Ma la politica non è mai limpida e anche in questo caso le guerre interne fra differenti fazioni portano la giustizia a non essere incorruttibile.

Loredano manovra il Consiglio dei Dieci per votare contro il figlio del Doge e porre fine a una generazione di regnanti. Anche Francesco avrebbe potuto intervenire a favore del figlio, ma antepone l’interesse dello Stato al suo interesse personale. La nuora lo sollecita a implorare per il figlio adducendo che se lo avesse fatto, sarebbe stato ascoltato. Ma lui ha voluto non intervenire, non far prevalere i propri interessi contro quella che sembrava fosse una giusta condanna. E se Verdi, nominato senatore si dimise dopo poco tempo dalla carica, c’ è da meditare sulla politica e sui suoi meccanismi.

L’allestimento messo in scena al Teatro Municipale non sente il peso degli anni: è stato leggermente modificato perché il palcoscenico di Piacenza è più piccolo di quello di Bilbao, dove nel 2008 andò in scena per la prima volta.

Ha infatti debuttato sedici anni fa per approdare l’anno successivo a Parma e in altri teatri italiani.

Sia le scene che i costumi sono di William Orlandi, assistito da Francesco Bonati. È un allestimento tradizionale, la scenografia è molto semplice, ma efficace. Su tutto troneggia il trono dorato del Doge ed una imponente scalinata. Tutta l’azione si svolge in cerchio, la cui parte frontale si apre e si chiude a seconda degli ambiento rappresentati. Anche i costumi sono di ottima fattura e di prezioso broccato d’oro con manto di ermellino l’abito del Doge.

La regia, molto funzionale all’azione scenica, è di Joseph Franconi Lee, coadiuvato da Daniela Zedda. Di questa produzione ho apprezzato particolarmente che i registi si sono preoccupati di far fare ai cantanti movimenti e azioni che evidenziassero soprattutto i sentimenti che stavano vivendo. Efficaci, molto curate e d’effetto le luci di Valerio Alfieri. La coreografa Raffaella Renzi è stata molto brava a preparare il balletto che ha caratterizzato la barcarola.

Come spesso accade nelle opere di Verdi, soprattutto del primo Verdi, uno dei protagonisti è il coro. Il Coro del Teatro Municipale di Piacenza diretto dal Maestro Corrado Casati si sta rinnovando con l’inserimento di nuovi cantanti giovani. Ma questo non ha inciso sulla sua efficacia e bravura, sottolineata dal lungo applauso finale.

Il direttore d’orchestra Matteo Betrami ha saputo scavare nella scrittura orchestrale mettendo in risalto le lotte interiori che i protagonisti stavano vivendo, i loro drammi, trovando il giusto colore nel suono dell’orchestra.

Ha accompagnando i cantanti senza mai coprirne le voci, trovando il giusto equilibrio fra canto e musica. I musicisti dell’Orchestra Dell’Emilia Romagna Arturo Toscani hanno seguito le sue indicazioni, dimostrandosi come sempre, all’altezza di ogni loro esecuzione.

La tessitura di questa opera è molto acuta, piena di coloriture e quindi difficile per i cantanti, ma il cast era composto da grandi voci.

Iniziamo dal Doge Francesco Foscari interpretato dal baritono Luca Salsi. Questo ruolo gli ha portato fortuna essendo stato il primo personaggio importante da lui portato in scena al Teatro Verdi di Trieste. La sua interpretazione è cresciuta di atto in atto, con canto raccolto e legato, quasi volesse scavare il significato di ogni singola nota. Fantastico nei recitativi, stupendo nelle sottolineature vocali, perfetto nella recitazione, è un ruolo che gli calza a pennello. Entusiasmante e commuovente il suo terzo atto dove si è potuto ammirare la parola scenica e in azione.

Il tenore Luciano Ganci debuttava il ruolo di Jacopo Foscari ed è sicuramente un debutto da ricordare. Questo tenore è dotato di voce squillante che corre in teatro, con acuti ben tenuti, curato nei recitativi, canto tutto sul fiato con le puntature giuste. Un giovane tenore che cresce di recita in recita, di personaggio in personaggio, forse il migliore della sua generazione.

Il soprano Marigona Qerkezi sa cantare ed affronta la difficilissima ed impervia parte di Lucrezia con sicurezza ed abilità. Soprattutto nel primo atto è leggermente in difficoltà con la pronuncia ma la sua performance cresce negli atti successivi, fino alla cabaletta finale che infuoca gli animi.

Jacopo Loredano è colui che muove i fili nell’ombra ed era interpretato dal basso Antonio di Matteo, voce interessante che ha caratterizzato bene la malvagità del personaggio.

Bravi gli altri interpreti, rispettivamente Marcello Nardis nel ruolo di Barbarigo, Ilaria Alida Quilico in quello della Pisana, Manuel Pierattelli come Fante ed Eugenio Maria Degiacomi come Servo del Doge.

Applausi lunghissimi hanno sottolineato vari parti dell’opera e hanno premiato i cantanti ed il direttore al loro ingresso sul palco alla fine della recita.

Uno spettacolo bellissimo che dovrebbe girare in tantissimi teatri per portare la bellezza della musica di Verdi, del bel canto, a quante più persone possibili. Questo è fare cultura, creare il bello e donarlo a chi lo viene a vedere ed ascoltare.