L'opera diScarlatti in scena a Martina Franca
Uno spettatore non attentissimo, che potremmo chiamare “della strada”, dinanzi ad un’opera scritta da una delle figure più eminenti del Settecento napoletano, si aspetta nomi altisonanti (Artaserse, di Jommelli, ad esempio). Nell’anno di grazia 2021 Griselda evoca ricordi di scuola ed uno scenario meno regale di quello a cui spettatori antichi e moderni erano abituati. Il titolo è da associare a quei ricordi di scuola in cui l’ultima novella del Decameron di Boccaccio, Griselda, appunto, andava a sparigliare le carte di un’immagine del certaldese felice e soddisfatto del mondo che lo circondava, fiducioso dell’uomo e delle sue virtù. L’ultima delle cento novelle ha di suo una componente enigmatica, in quanto un nobile (nel testo originario il marchese di Saluzzo) mette a dura prova la moglie contadina, riportandola a casa della famiglia d’origine e sottraendole i figli nati dal matrimonio. La posizione al termine della “commedia umana” del Decameron ha suscitato interrogativi da parte dei critici di varie epoche. Ad oggi, nonostante la novella non rientri sempre a pienissimo titolo nel “canone” delle novelle di Boccaccio patrimonio degli studenti di scuola superiore conserva quel suo fascino inquietante dell’innocente costretta a subire crudeltà immotivate dalle persone a lei più vicine. Tema drammaticamente attuale, al di là del ceto e delle epoche di provenienza.
Il compositore palermitano, con una lunga esperienza a Napoli, mette in scena a Roma nel 1721 la novella di Boccaccio con il libretto originariamente di Apostolo Zeno, rimaneggiato da Carlo Sigismondo Capece. Il libretto stesso, del 1701, aveva avuto innumerevoli versioni nell’arco del secolo, tra cui quella di Albinoni e di Vivaldi. Il tema della legittimità degli eredi al trono aveva percorso tutto il secolo, che aveva visto le guerre di successione austriaca e spagnola e le sue conseguenze. La vicenda era stata trasposta dal Piemonte alla Sicilia ed erano stati aggiunti alcuni personaggi, tra cui un nuovo pretendente per la donna, che rifiuta di sposare, minacciando di uccidersi al cospetto del marito e sciogliendo le peripezie nel lieto fine.
A quattro secoli di distanza, lo spettatore moderno può guardare con rinnovata curiosità alla Griselda di Scarlatti, in cui, nonostante qualche forzatura della regia, le voci portano sulla scena con rigore filologico la vicenda. Il direttore George Petrou ha scelto di ristabilire i generi originari dei personaggi, nonostante il compositore napoletano avesse destinato le parti femminili ai castrati: di qui la bella prova di Carmela Remigio nelle vesti di Griselda, più offuscata quella di Raffaele Pe, più a suo agio nella parte finale della partitura scarlattiana. Interessanti le scene ed i costumi, che si sono avvalse del palcoscenico con un elevato grado di pendenza de La creazione per proporre una scenografia essenziale e unisona alla semplicità ed alla lealtà di Griselda, che fanno emergere ancora di più il suo dramma. Il passato sospeso in cui è ambientata la vicenda consente di vestire i servitori del re ed i suoi sodali da picciotti siciliani, associazione forse scontata, ma un po’ stridente. Buona la prova di Mariam Battistelli nelle vesti di Costanza ed inappuntabili sia l’orchestra barocca “La lira di Orfeo” che il “Coro Ghislieri”.
Ancora una fonte letteraria per L’Angelica di Nicola Porpora, la terza opera del cartellone 2021 del Festival della Valle d’Itria, che ha trasposto in un immaginario banchetto contemporaneo la vicenda dell’innamoramento di Angelica per Medoro e la conseguente pazzia di Orlando. Il direttore Federico Maria Sardelli ha scelto di portare sulla scena voci femminili, ad eccezione del basso Titiro (Sergio Foresti), con un effetto decisamente più straniante.