Recensioni - Opera

Guglielmo Tell diventa un sogno borghese

Interessante messa in scena del regista francese Bernard Aranud al Teatro Grande di Brescia

Secondo appuntamento con la stagione d’opera al Teatro Grande di Brescia con Guglielmo Tell di Gioachino Rossini. Una coproduzione dei Teatri di Operalombardia insieme alla Fondazione Teatro Verdi di Pisa.

Interessante la messa in scena del regista francese Arnaud Bernard, che ha immaginato la complicata vicenda dell’opera rossiniana come il sogno di un rampollo della buona borghesia ottocentesca perso nel suo libro di favole, incentrato ovviamente intorno alla storia di Guglielmo Tell. L’overture viene teatralizzata in un ambiente borghese con tanto di sontuosa tavola apparecchiata. Il nostro fanciullo, probabilmente abbandonato a se stesso da adulti troppo indaffarati, sogna leggendo il suo libro. Nel contempo intorno al desco ruotano i familiari che saranno poi i protagonisti dell’opera. L’atmosfera è tesa, i servi – che poi saranno i cattivi dell’opera – non sono proprio gentili, i genitori sbrigativi, un vecchio zio sta male e così via. Un quadretto borghese insomma che si interrompe con la fine dell’overture e con l’inizio del sogno ad occhi aperti del nostro fanciullo che poi sarà nella storia Jemmy, il figlio di Tell. Ecco allora uscire dal camino e dalla credenza gli svizzeri in abito tradizionale, che con movimenti accorti sbaraccano la tavola, ergono una montagna artigianale con un telo e un cumulo di sedie, creano laghi e fiumi con improbabili teli azzurri. La storia è costruita insomma per quadri che sembrano tratti da un libro per l’infanzia.

L’opera prosegue per accumuli di fantasie infantili e trovate simpatiche, mentre al termine di ogni pezzo chiuso tutti scompaiono nuovamente dentro armadi, camini e credenze. Anche negli atti successivi il regista propone la stessa formula con una buona varietà di trovate: spostando la scena dalla sala da pranzo alla camera da letto del nostro protagonista e poi di nuovo in una sala da pranzo dimessa, quasi in aria di trasloco. I pezzi concitati spesso vengono risolti con il coro immobile in posa creando un ulteriore effetto di straniamento e di sospensione onirica dell’azione.

Nel momento della redenzione finale, la famiglia si accorge della solitudine del povero fanciullo e tutti insieme finiscono di leggere la storia del libro, mentre il coro del popolo svizzero, che giustamente non avrebbe più posto nella ritrovata armonia borghese, appare in fondo alla platea con una splendida intuizione spettacolare.

Certo l’opera è impegnativa e alla lunga alcune trovate risultano ripetitive, nel complesso però un buon risultato e una messa in scena attenta e credibile che non cede mai al bozzettismo, anzi lo esalta ove presente con opportuna ironia. Ben preparati scenicamente gli interpreti e soprattutto il coro che si disimpegna in modo più che dignitoso. Lineari e funzionali le scene di Virgile Koering, accurati con qualche banalità di troppo i costumi di Carla Galleri.

Giovane e appassionato il gruppo di interpreti. Una menzione speciale al giovane soprano Barbara Massaro, buona interprete di Jemmy, ma soprattutto presente in scena dall’inizio alla fine con credibilità scenica e valida coerenza interpretativa. Michele Patti ha delineato un Guglielmo Tell credibile nella figura, sicuro negli acuti e dal timbro accattivante, resta da migliorare il fraseggio in particolare nella zona grave. Matteo Falcier è stato un Arnoldo dal timbro chiaro e dagli acuti sicuri anche se in difficoltà sulle cabalette. Convince Clarissa Costanzo come Matilde. Fra gli altri numerosi interpreti segnaliamo Davide Giangregorio e Pietro Toscano. Carlo Goldstein ha diretto l’orchestra dei pomeriggi musicali con buona attenzione all’equilibrio fra buca e palco, ma con sonorità non sempre a fuoco in particolare nella sezione degli ottoni.

Caloroso successo di pubblico in un Teatro Grande completamente esaurito.

(R. Malesci 13/10/19)