A Vienna in scena il celebre musical di Andrew Lloyd Webber in versione tedesca
Al Raimund Theater di Vienna viene proposta una riuscita versione del Fantasma dell’Opera nella celebre produzione della Cameron Macintosh ancora in scena dopo molti anni al Her’s Majesty Theatre di Londra. La produzione è assolutamente fedele a quella londinese, ma cantata e recitata in tedesco nella versione di Michael Kunze.
Il musical è tratto dall’omonimo romanzo a puntate uscito intorno al 1910 ad opera del giornalista e scrittore francese Gaston Leroux. Romanzo che potremmo definire ultrapopolare, dove Leroux saccheggia a piene mani tematiche neogotiche in voga fin dall’inizio dell’ottocento, creando una commistione ardita e fiabesca di vari stili e filoni letterari. Partiamo dal romanzo epistolare e documentaristico, zeppo di lettere e resoconti, proprio come il Dracula di Bram Stoker; per passare ad una buona dose di mistero e immanenza diabolica, ed eccoci al Dottor Jekyll e Mr. Hyde di Stevenson oppure al Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde; fino ad adombrare il mostro, il prodigio naturale, lo scherzo del destino, l’azione di qualche malvagio scienziato, proprio come nel Frankenstein di Mary Shelley.
C’è tutto questo nel romanzo di Leroux e in realtà non c’è niente, poiché alla fine il Fantasma si rivela essere niente altro che un essere umano: un povero disgraziato se vogliamo, chiamato “il signore delle botole”, un imbonitore, un prestigiatore, un clown, un ventriloquo.
Il Fantasma dell’Opera assomma in sé tutto l’immaginario del secondo ottocento che parte dal filone avventuroso e misterico alla Jules Verne per approdare al neogotico, al romanzo dell’orrore, infine al teatro del Grand Guignol, ma non lo sviluppa, lo fonde semplicemente in un grande gioco teatrale, dove niente è vero ma tutto è verosimile.
Se agli albori dell’ottocento il romanzo gotico per eccellenza, Il Castello di Otranto di Horace Walpole, ha ancora bisogno dell’esotismo italiano, che d’altra parte già Shakespeare usava a piene mani; Leroux, più di cento anni dopo, costruisce un esotismo che è immaginifico, artistico e teatrale. Così il vero onnipresente protagonista è proprio quell’Operà Garnier, terminata verso la fine degli anni settanta dell’ottocento, al tramonto del secondo impero di Napoleone terzo. Il teatro d’Opera per eccellenza, il tempio sfarzoso creato per celebrare la grande borghesia parigina e la sua musica, un immenso edificio che copre un intero isolato, vicino alla chiesa della Madeleine, nel salotto buono di Parigi. È il teatro stesso che assurge, con il suo scalone d’onore, lo sfarzo dei lampadari, la profusione decorativa, i lunghi cunicoli a luogo misterioso, ctonio, incontrollabile. Il tempio dell’inganno, della rappresentazione, della finzione e della falsità. Qui vive Erik, il nostro fantasma dell’Opera, in simbiosi con la musica, l’arte e il teatro, gioca con trucchi e sberleffi, autorappresenta sé stesso pur di non essere isolato e dimenticato.
Gaston Leroux azzecca una “lanterna magica” di situazioni teatrali, di finzioni da opera, di personaggi eccessivi: le terribili dive in disarmo che vivono dei successi passati, le filiformi e invidiose ballerine, i bellimbusti da teatro, i grandi ammiratori delle cantanti, le maschere pettegole e i direttori interessati e arraffoni. Tutti trovano il loro senso nell’arte e nella musica, che prevale su qualsiasi miseria e deformità, morale o fisica.
Andrew Lloyd Webber dal canto suo riprende tutte queste tematiche nel 1986, componendo una vera e propria opera-musical, snellendo la trama, ma lasciandone inalterati tutti gli effetti scenici immaginati da Leroux. Effetti scenici mirabilmente realizzati anche nella attuale produzione che incanta ormai il pubblico da decenni.
Lloyd Webber compone musiche orecchiabili e travolgenti, regalando agli interpreti principali veri propri assoli che, in tutto e per tutto, ricalcano le arie del melodramma ottocentesco. Per i personaggi di carattere non ha timore ad ispirarsi all’opera buffa di inizio ottocento, che sono infatti Monsieur André e Monsieur Firmin se non un Don Pasquale e un Don Magnifico fra Donizetti e Rossini? Terzetti, quartetti e strette finali esaltano un’opera-musical che pesca nel passato per ricreare uno spettacolo spiccatamente popolare, proprio come l’opera dell’ottocento, e che tuttavia parla alla contemporaneità.
Tutto il cast viennese non teme i confronti con i colleghi inglesi a partire dall’ottima compagnine musicale, l’Orchester der Vereinigten Bühnen Wien diretta da Michael Römer.
Anton Zetterholm è un fantasma convincente e dalla voce sicura e potente, al suo fianco Lilian Maandag è una Christine a suo agio sia scenicamente che vocalmente. Degno contraltare al Fantasma è il Raoul di Roy Goldman, dalla voce scura e timbrata.
Ottimi tutti i caratteri a partire dai divertenti direttori Timo Verse e Dennis Kozeluh, fino alla Carlotta prorompente e inarrivabile nel proporre una voce fintamente stridula di Milica Jovanovic, ben affiancata Greg Castiglioni come Ubaldo. Una menzione anche alla bravissima e arcigna Madame Giry di Patricia Nessy. Splendido, coeso e professionale tutto il resto del numeroso ensemble.
Teatro esaurito a Vienna e grandi applausi nel finale.
Raffaello Malesci (Giovedì 2 Gennaio 2025)