Recensioni - Opera

Il demone seduttore al laghetto del Vittoriale

Alessandro Haber in una lettura dei carteggi di D’Annunzio

Nella casa del Vate, domenica 6 luglio, al Laghetto delle Danze, Alessandro Haber ha portato in scena, leggendole, le lettere che il poeta scrisse alla contessa Giuseppina Mancini durante la loro tormentata storia d’amore. Sulla piccola piattaforma posizionata sul piccolo laghetto a forma di violino in omaggio a Gasparo da Salò, si è raccontata la “demenza afrodisiaca” del Vate nei confronti della sua “Giusini”.

Incominciata nel 1907, la relazione fra il poeta e la contessa si sviluppò fra Brescia e villa Capponcina sulle colline di Settignano. Non durò che qualche mese e si estinse con la follia di Giuseppina nel 1908. Solo dopo qualche anno la contessa recupererà la salute mentale. Haber ha dato voce ai tormenti tra l’erotico e l’esistenziale, che consumarono D’Annunzio nel suo amore per “Giusini” ma che sono lo specchio della sua estasi amorosa. Lui avido di predare incapace di rinunciare. Un amore debordante, una follia a due, frammenti di una storia lacerata da esistenzialismi e carnalità all’ombra della villa alcova fiorentina. Nel bucolico e meraviglioso angolo del Vittoriale, l’attore bolognese si è calato nel demone seduttore e con grande disinvoltura è riuscito a dare risalto alla complessità delle riflessioni dannunziane. Con una semplicità francescana, attraverso le parole attinte dagli scritti, ha raggiunto discreti livelli di pathos e talento interpretativo diventando anch’egli seduttore nei confronti del pubblico. Attraverso le parole lette si sono materializzate agli occhi degli spettatori le pirotecniche evoluzioni psicologiche del Vate per la sua “Giusini”, un’ora di letture per delineare un D’Annunzio istrionico e cerebrale ma sensibile e ostaggio del cuore mentre lei rimane eterea, idealizzata, quasi irraggiungibile. Un amore debordante nell’affinità elettiva degli opposti. Nota dolente della splendida serata, del resto mai sufficientemente nulla sarebbe adeguato per un genio, le luci troppo dirette ed intense sull’interprete, quanto inutili, a violentare un atmosfera scenografica naturale. Piccoli squarci di luce sarebbero bastati alle poetiche letture del Vate e che dire delle musiche… uno strumento a corde suonato dal vivo vibrando il tormento e la passione… all’unisono con l’interprete… ecco sì, violini, rose e candele, tantissime candele, sarebbero stati la cornice giusta per la tormentata follia d’amore di inizio secolo (scorso). E ne siamo certi sarebbe piaciuto anche a Gabri…                         

Severino Boschetti 6 luglio 2014