E’ praticamente impossibile scrivere una recensione dell’Arlecchino di Strehler tale ormai è la notorietà acquisita nel corso degl...
E’ praticamente impossibile scrivere una recensione dell’Arlecchino di Strehler tale ormai è la notorietà acquisita nel corso degli anni, sarebbe come tentare di spiegare alla gente a cosa serve l’acqua, rischiando quindi di rendersi ridicoli. Eppure, nonostante quasi tutti conoscano questo straordinario spettacolo che esiste ormai da oltre mezzo secolo, l’emozione nel rivederlo è sempre intensa, sia grazie ad una regia straordinaria, sia alla maiuscola interpretazione di Ferruccio Soleri.
Penso sia questo uno dei pochissimi spettacoli che, anziché chiudere dopo un certo numero di repliche, sia nella condizione di dover continuare a girare, quasi il suo fosse un dovere morale: la necessità di tramandare un caposaldo del teatro del ‘900, la memoria di un genio ed una magia per molti versi irripetibile.
E’ passato molto tempo, Soleri ha ormai più di 70 anni, e questo si vede, in alcune scene (quale ad esempio quella delle pietanze) il fisico non è più quello di un tempo; Strehler non c’è più, per cui del regista restano le idee e l’impianto, ma non più lo sguardo vigile. Eppure questo spettacolo sembra avere un suo spirito, insito all’allestimento stesso, che si rianima ogni sera e si trasmette al pubblico.
Arlecchino è anche una doverosa lezione di teatro a tutti quelli che hanno scelto questo mestiere: sono innumerevoli gli spettacoli attuali che dovrebbero impallidire di fronte a questo straordinario meccanismo creato decenni orsono. Trovo perciò lodevole, che ancor oggi alcuni teatri italiani accettino di riproporlo come ha fatto con grande coscienza il CTB quest’anno.
Arlecchino in sostanza è un po’ in tutti noi, da oltre 50 anni e speriamo vi resti ancora per lungo tempo.
Davide Cornacchione 14/12/2001