
Coraggiosa messa in scena del regista Thilo Reinhardt per una Tosca veramente senza stereotipi
Continuano le repliche di Tosca al Tiroler Landestheater di Innsbruck. L’innovativa e provocatoria messa in scena del tedesco Thilo Reinhardt ha debuttato a giugno di quest’anno presentando un concetto scenico antitradizionale che affronta una riflessione sull’arte e sul potere.
Infatti il regista, coadiuvato dalle scene di Johann Jörg e dai costumi di Katharina Gault, dedica ogni atto ad una forma artistica, anticipando la scena con l’entrata a sipario chiuso di una figurante, o nell’ultimo atto della stessa Tosca, con un oggetto iconico che rappresenta l’atto. Un mitra nel primo atto a rappresentare la forza eversiva dell’arte contemporanea; due cravatte nel secondo a rappresentare il volto pulito del potere di Scarpia e un mazzo di rose per il terzo, in cui Tosca sceglie di tornare a rifugiarsi nella rassicurante finzione del teatro per sfuggire alla terribile realtà che la circonda.
Ogni atto si dipana in coerenza a questi assiomi di partenza. Nel primo si rappresenta un museo d’arte contemporanea, non manca il cartello al neon con la scritta “Kunst”, in cui Cavaradossi vive un’illusione di libertà da pittore alternativo. Angelotti sembra un terrorista fuggiasco più impacciato che pericoloso, mentre la cappella degli Attavanti altro non è che un’installazione del museo. Tosca è una diva emancipata e disinibita, che non trova strano che una modella posi nuda per il quadro del suo amante. Tutto cambia con l’entrata di Scarpia e dei suoi sgherri, una banda di malfattori in giacca e cravatta a metà fra l’ispettore Derrick e reminiscenze della famigerata Stasi. Il potere, anche se ammantato di perbenismo, non può sopportare la libertà dell’artista. Così, il te deum finale altro non è che una sfilata di benpensanti della società, dagli scout passando per le dame della buona borghesia, fino alle organizzazioni caritatevoli stile esercito della libertà, che, aizzate e benedette da un vescovo, raccolgono tutte le opere d’arte per darle alle fiamme insieme ai guardiani del museo e alla rivoluzionaria figurante dell’inizio, che infine ha imbracciato il mitra e muore con questo in mano al sommo della pira.
Il secondo atto si svolge nello studio televisivo controllato dallo stesso Scarpia e dai suoi sgherri, questa volta intenti a registrare e montare quanto si riprende per fini propagandistici. Scarpia perciò si prepara diligentemente alla diretta, scegliendo con cura la cravatta apparsa all’inizio dell’atto e ci tiene a farsi fotografare con la diva Tosca per i giornali e i rotocalchi. Non ha poi remore a filmarla nei momenti di disperazione, avvenendo l’interrogatorio e il pestaggio di Cavaradossi in scena dietro ad una scrivania. Tutto cambia con l’annuncio della vittoria di Napoleone a Marengo: per il potere corrotto è meglio cambiare aria e metodi, perciò lo studio si svuota, tutti fuggono. Scarpia sembra per un momento perdere il controllo, salvo poi gettare ogni remora e tentare di violentare Tosca appena rimasto solo con lei. Nel finale dell’atto il regista butta a mare ogni indicazione scenica di Puccini, per cui Tosca tenta di uccidere Scarpia con una pistola, ma facendo questa cilecca, si abbandona inerme ai suoi voleri. Qui accade il colpo di scena e Scarpia, eccitato prima dagli “spasimi d’ira, spasimi d’amore”, perde ogni vigoria davanti all’arrendevolezza di Tosca e non riesce a compiere l’atto. Nel momento in cui sembra andarsene sconsolato, Tosca riafferra nuovamente la pistola, forse offesa nel suo orgoglio di donna e diva, e lo uccide sparandogli alle spalle.
Il terzo atto inizia con l’arrivo di Tosca a sipario chiuso, essa porta dei fiori, è senza parrucca: si sta preparando alla sessione di trucco. Tutto ritorna al teatro, alla finzione: il pastorello arriva in modo classico con tanto di agnello in braccio, tutto intorno una scena con colonne neoclassiche e fondali con templi greci. Tosca si mette parrucca e costume ottocentesco e insiste perché Cavaradossi si vesta in costume con tanto di feluca napoleonica. Il finale diviene parodia, con Tosca che spinge in scena le quinte che rappresentano gli spalti di Castel Sant’Angelo e con il plotone di esecuzione formato da soldatini da operetta con buffe movenze. Ma questo volersi nascondere nella finzione non salva Cavaradossi dalla morte e nell’estremo finale la realtà di oppressione torna prepotente: gli apparati teatrali scompaiono e dal fondo, in controluce appaiono gli sgherri di Scarpia che sparano alle spalle a Tosca mentre tenta di fuggire verso il proscenio. Ella, colpita a morte, tenta di non abbandonare la sua ancora di salvezza teatrale e cade sorridendo al pubblico, proprio come “la Tosca in teatro”.
Come si può immaginare dalla descrizione la regia di Thilo Reinhardt è provocatoria e mette molta carne al fuoco. Nel complesso è ben organizzata e offre molteplici spunti per una lettura innovativa di uno dei capolavori operistici più rappresentati e che, dobbiamo dire, abbiamo visto volentieri in una veste completamente nuova. I riferimenti all’arte e al potere sono chiari e intellegibili, il lavoro sugli attori coerente e ben orchestrato. Certo, spesso ci sono inevitabili sbavature drammaturgiche, altre volte ingenuità e qualche forzatura di troppo. Nel complesso però la messa in scena azzecca un te deum di grande impatto e un terzo atto originale nel suo essere al limite della parodia. Reinhardt inoltre non cade nell’errore di essere didascalico e di spiegare troppo, sembra felice di rischiare l’incongruenza pur di stimolare il paradosso e il corto circuito creativo, mantenendo lo spettatore sempre vigile e attento nel tentare di capire i molti messaggi della messa in scena.
La compagnia di canto ben si destreggia in questo complesso allestimento. Floria Tosca era Izabela Matula, che ha sostituito la prevista Aurelia Florian. Il soprano polacco si inserisce con disinvoltura nella messa in scena e canta in modo corretto e partecipe, forse con qualche asprezza di troppo. Al suo fianco il tenore spagnolo Alejandro Roy, Cavaradossi, è dotato di voce timbrata e stentorea, con grande facilità all’acuto, mentre il fraseggio risulta meno incisivo e curato. Davide Damiani incarnava Scarpia con ottima convinzione scenica, disegnando un perfido burocrate del male. La voce chiara e ben impostata si fa notare per il fraseggio accurato e il canto sulla parola. Professionale il resto del cast: Oliver Sailer, Johannes Maria Wimmer, Junghwan Lee, Jungkun Jo, Stanislav Stambolov.
Tommaso Turchetta, a capo dell’orchestra sinfonica del Tirolo, ha dato una lettura molto teatrale e coinvolgente, qualche irruenza di troppo forzava il corretto rapporto fra buca e palcoscenico sovrastando talora i cantanti.
Il pubblico, abbastanza freddo durante l’opera, ha invece tributato un vivo successo nel finale.
Raffaello Malesci (10 Dicembre 2022)