Recensioni - Opera

Innsbruck: azzeccato Trittico pucciniano per il LandesTheater

Una compagnia di canto omogenea con la regia del Venezuelano Carlos Wagner

Interessante nuova produzione de “Il Trittico” di Giacomo Puccini per il Landestheater di Innsbruck. Lo spettacolo, che ha debuttato il 30 Novembre 2018, viene proposto nell’azzeccato allestimento del regista Carlos Wagner, con una compagnia di canto che mescola cantanti ospiti e validi apporti della compagnia stabile del teatro della capitale tirolese.

Puccini scrisse il “Trittico” come insieme di tre atti unici, ispirandosi, a seguito di un consiglio del librettista Giovacchino Forzano, alla Divina Commedia dantesca. Organizzò le tre operine in un figurato passaggio dal cupo inferno tragico del Tabarro, passando attraverso l’espiazione purgatoriale di Suor Angelica, fino a giungere alla commedia paradisiaca, il “Gianni Schicchi”, in cui il protagonista, cacciato da Dante all’Inferno, viene riabilitato nel finale dagli applausi e dall’assoluzione del pubblico.

Purtroppo capita di rado di vedere in Italia “Il Trittico” nella sua interezza, preferendo per motivi organizzativi, presentare le opere singole, Gianni Schicchi sopra tutte; spesso in accoppiate improbabili per fare come si suol dire “serata”. Tanto più risulta lodevole e interessante questa proposta tirolese, infatti le tre opere in sequenza acquistano una completezza di significato e una pregnanza che alle singole proposte non arride. Lo stesso Puccini, dopo la prima Newyorkese, si lamentò non poco con il suo editore Ricordi che aveva acconsentito alla messa in scena separata delle singole opere.

Il regista Carlos Wagner, venezuelano di origine ma londinese di adozione, propone un allestimento semplice ma efficace, in cui vari elementi iconici vengono riproposti in tutte e tre le opere. In primis la figura del bambino, che appare in alcune belle proiezioni nel Tabarro, memoria del figlio annegato di Michele e Giorgetta; ritorna in una commovente scena di Suor Angelica in cui la protagonista prima di avvelenarsi sogna di rivedere il figlio morto; infine diviene centrale nel Gianni Schicchi, in cui lo stesso bambino di Suor Angelica interpreta con brio e presenza scenica il figlio di Gherardo e Nella che annuncia la venuta del protagonista. Altri elementi ritornano efficacemente nei diversi titoli, come le grandi croci che nel Tabarro fungono da pennoni di navi in lontananza e in Suor Angelica tornano ad essere i simboli religiosi incombenti di un convento che si è trasformato in un carcere. A proscenio scorre un fiume d’acqua, ottenuto con un semplice ma accorto effetto scenico, che funge via via da acqua del porto, fontana del convento e figurazione dell’Arno durante l’aria di Lauretta nell’opera finale. Una serie di idee ben circostanziate che danno unità e continuità alle tre opere del “Trittico”.

Tabarro viene giocato su una scenografia scarna con atmosfere cupe, una scaletta che scende sottocoperta, navi in lontananza, gestione dei cantanti efficace e naturalistica. Fra gli interpreti spicca sicuramente il tenore spagnolo Alejandro Roy, Luigi, che si impone con un timbro scuro e ben gestito, acuti timbrati e squillanti e una spigliata resa scenica. Ottimo anche Daniel Luis de Vincente, un Michele cupo, reso con voce pastosa e timbrata che il baritono ispano-americano gestisce con buona perizia tecnica. Giorgetta era affidata al soprano russo Anna Maria Kalesidis, che ben si destreggia in particolare nelle parti liriche, disegnando un personaggio convincente.

Suor Angelica viene ambientata in un claustrofobico convento con tanto di filo spinato, gestito con rigore manesco da una perfida madre Badessa. Tutti i movimenti sono rigorosi, geometrici, solo la sfortunata Suor Angelica cerca di sfuggire invano a questo schema inflessibile. Le porte sono grate, sopra i muri filo spinato, le uniche consolazioni per Suor Angelica sono solo le piante che poi le daranno il mezzo di fuggire con il suicidio all’inferno di queste mura senza via di uscita. Sorprendente il giovane soprano uzbeko Barno Ismatulleva, che coinvolge il pubblico con una voce piena, timbrata, sicura negli acuti e ben supportata negli sfumati, disegnando un personaggio commovente e partecipe. Ottima anche Anna Maria Dur nella parte della perfida Zia Principessa.

Conclude la serata un esilarante Gianni Schicchi, in cui il regista, che firma anche i costumi, immagina tutti i parenti di Buoso come uccelli rapaci, connotando con particolari intriganti e simpatici i costumi anni trenta. Pertinente e poetico l’accenno ad una Firenze nostalgica che si staglia da una grande vetrata di una casa moderna. Riuscitissima la resa generale in cui tutti i numerosi cantanti coinvolti delineano personaggi credibili, coerenti, amalgamati con gli altri, sempre partecipi nelle scene corali. Cosa non da poco e merito sicuramente di un ensemble affiatato. Daniel Luis De Vincente torna per interpretare anche Gianni Schicchi e si conferma un cantante completo, a suo agio anche nelle parti comiche e con un assoluto controllo della voce a cui si unisce un fraseggio appropriato. Meno a fuoco la Lauretta di Tatiana Rasa, che pur avendo cantato con correttezza, non spicca per timbro e volume della voce. Jon Jurgens è un Rinuccio giovane e appassionato, affronta la parte con baldanza e fa sfoggio di una voce ben timbrata e omogenea. Ottimo anche tutto il resto della compagnia di canto che merita di essere citata nel suo insieme: Anna Maria Dur, Florian Stern, Anna Maria Kalesidis, Johannes Maria Wimmer, Joachim Seipp, Alec Avedissian, Camilla Lehmeier, Stanislav Stambolov e Unnsteinn Arnason.

Ottimamente diretta da Lukas Beikirchen, la Tiroler Symphonieorchester Innsbruck ha degnamente accompagnato la serata.

Nel finale vivissimi applausi per tutti gli interpreti.

R. Malesci (29/12/19)