Recensioni - Opera

Innsbrucker Festwochen: il Silla di Carl Heinrich Graun incanta musicalmente e vocalmente, meno scenicamente

Alessandro De Marchi concerta magistralmente la rara partitura. Di prim’ordine la compagnia di canto. Deludente la regia e l’allestimento.

Opera di punta dell’edizione 2022 delle Innsbrucker Festwochen der alten Musik, arriva al Tiroler Landestheater di Innsbruck la rara opera “Silla” del compositore tedesco Carl Heinrich Graun, rappresentata per la prima volta a Berlino nel 1753 su libretto di Federico II di Prussia trasposto in versi italiani da Giovanni Pietro Tagliazucchi.

L’opera mette in scena il tiranno romano Silla, che, innamorato non ricambiato di Ottavia, è tentato di prenderla con la forza, malconsigliato dal perfido Crisostomo, ma infine si ravvede e cede amore e potere per ritirarsi a vita privata.

Non si fatica a scorgere dietro il soggetto una celebrazione del sovrano illuminato quale si vedeva Federico II di Prussia, redattore in prima persona del libretto. La musica si ispira alla migliore tradizione tardobarocca, ove sviluppa un approccio più complesso rispetto alla semplice aria di “furia” o di “affetto”, spingendosi fino a qualche semplice duetto e a due conclusioni di atto con l’intervento del coro.

Alessandro De Marchi, concerta splendidamente la partitura, agendo come direttore e maestro al cembalo a capo dell’orchestra delle Innsbrucker Festwochen, in forma smagliante e dotata di un ormai assodato livello tecnico e artistico nel repertorio barocco.

Di uguale qualità la compagnia di canto, dalla distribuzione assai curiosa, annoverando ben quattro controtenori, un tenore e due soprani. Del resto è ben nota la predilezione di Federico II di Prussia per le voci dei sopranisti e dei castrati.

Silla era il controtenore americano Bejun Metha, che, degno della sua fama, non ha deluso le aspettative, regalandoci un’interpretazione completamente convincente del tiranno romano. Dotato di voce limpida, sonora e ben impostata, unisce a queste doti una buona esperienza di palcoscenico conferendo una sorvegliata e a tratti ironica credibilità al personaggio.

Al suo fianco altri tre controtenori, tutti ottimi vocalmente. Samuel Mariño, giovane controtenore venezuelano, era l’antagonista Postumio; molto festeggiato nella sua aria del secondo atto, è dotato di voce scintillante e ben dosata. Difetta purtroppo quasi completamente di aderenza scenica e di consapevolezza recitativa.

Valer Sabadus era un ben impostato anche se a tratti scenicamente impacciato Metello, mentre Hagen Matzeit completava degnamente il quartetto controtenorile nella parte di Lentulo.

Italiane le due voci sopranili ed entrambe di rilievo. Eleonora Bellocci era un’Ottavia decisa e volitiva, dalla voce sonora e penetrante, si imponeva sia nelle arie di furore che nei duetti amorosi con Postumio. Una bella prova per il soprano fiorentino. Al suo fianco Roberta Invernizzi era una Fulvia spregiudicata e decisa, dall’ottima impostazione vocale e dalla buona verve scenica.

Completava splendidamente il cast il tenore turco Mert Süngü, che si distingueva nei panni del perfido consigliere Crisogono per fraseggio scolpito e sicurezza nelle agilità. L’artista è completo e gli riusciva anche ad infondere un’ottima credibilità al personaggio a discapito dell’assurdo costume.

Di contro purtroppo la parte scenica e visiva era nel complesso deludente. Georg Quander imposta una regia sostanzialmente statica, descrittiva, limitandosi a far entrare ed uscire i cantanti in modo sciatto e illustrativo. Julia Dietrich inquadra il tutto in una scena che forse voleva essere ironica, forse neoclassica, con quinte stampate con palazzi e interni romani che paiono usciti dalla mano di un allievo di grafica industriale. A queste si aggiunge una scalinata in marmo davanti alla quale si alternano obelischi, statue e quant’altro, senza che ci sia mai un riferimento o un connubio fra regia e scenografia.

La scena inoltre aveva anche qualche pecca tecnica, infatti alcune quinte ondeggiavano vistosamente, così come inevitabilmente i teli stampati. Mentre nel secondo atto l’incastrarsi di una porta ha costretto Mert Süngü, dopo vari strattoni e un’inevitabile pausa nella musica, ad entrare dalla quinta. L’artista ha risolto l’intoppo con grande ironia, suscitando l’ilarità e la simpatia del pubblico.

I costumi, sempre della Dietrich, volevano forse essere eclettici e spaziare in varie epoche, ne risulta invece un effetto di confuso trovarobato, senza che si colga mai un nesso pregnante fra costumi, regia, recitazione e impostazione dei cantanti. Così troviamo Postumio in costume da paggetto con pantaloni in vellutino e polacchini contemporanei, Silla in una specie di vestito militare in velluto rosso trapuntato di perle e decori bianchi o ancora Fulvia in un nero costumone simil settecentesco che si addiceva più alla “Vedova Scaltra” di Goldoni.

Completava il tutto un Crisogono in veste femminile vaporosa, con spolverino verde e lunga parrucca bionda. La barba scura lo rendeva un emulo di “Conchita Wurst” senza tuttavia che ciò fosse mai circostanziato dalla recitazione o da altre trovate registiche.

Peccato perché il livello musicale proposto e il prestigio del festival avrebbero meritato ben altra messa in scena.

Grande successo per tutti gli interpreti a fine serata.

Raffaello Malesci (Venerdì 5 Agosto 2022)