Recensioni - Opera

Intervista a Giuseppina Bridelli

Il mezzosoprano racconta della sua carriera e dei suoi impegni futuri.

Mezzosoprano di gran carattere, tra i più ricercati ambasciatori dell’identità italiana nel mondo, Giuseppina Bridelli è voce e temperamento capace di spaziare con assoluta disinvoltura da Rossini a Mahler, da Mozart a Rota. In vent’anni di attività, l’interprete nata a Piacenza e diplomatasi nella classe di Maria Laura Groppi possiede oggi, al suo magnifico arco, le frecce di una moltitudine di ruoli del grande teatro musicale barocco e settecentesco, senza disdegnare il confronto con le somme pagine del repertorio sinfonico-corale. Un percorso in continua ascesa che non conosce flessioni e che si prepara, di qui a poche settimane, a nuovi ambiziosi obiettivi. Ce li siamo fatti raccontare, in una chiacchierata che è partita da lontano. Dall’inizio.

Signora Bridelli, una doverosa domanda di premessa, scorrendo il fitto catalogo di impegni che hanno costellato questi primi vent’anni di carriera.  Una così spiccata versatilità si possiede o si impara?

Sicuramente ci vuole un po’ di indole e soprattutto, guai alla pigrizia: sono sempre curiosa di mettere mano a una nuova partitura, di vedere come la voce si adatterà e quali nuove risorse troverò.
La voce cambia e cresce con noi, esattamente come la nostra personalità e il nostro gusto e questo credo che vada sempre assecondato cercando di provare e sperimentare.

Tutto ha avuto inizio nel 2007, nel segno di Mozart, in un memorabile Così fan tutte diretto da Diego Fasolis. Una Despina, la Sua, di graffiante, audace intensità (noi eravamo in sala), che Le ha aperto le porte dei maggiori teatri del mondo. Cosa ricorda di quel debutto?

Ricordo la scoperta di un mondo meraviglioso, ricordo l’odore del palcoscenico, che è diverso e uguale in ogni teatro. Ricordo l’adrenalina della prima recita, ma non ricordo alcuna paura, come se avessi sentito che il palcoscenico era il “mio posto”. E ricordo i fiori alla prima, mandati dai miei genitori, con un biglietto: “Ti abbiamo sempre immaginata così”.

Amata in Italia, adorata all’estero, in particolare in Francia, dove la scorsa estate, solo per citare un ultimo successo, ha tratteggiato una magistrale Diana ne La Calisto di Francesco Cavalli al prestigioso Festival di Aix en Provence. Com’è il rapporto con il pubblico francese e, più in generale, con il pubblico internazionale?

In Francia sicuramente il pubblico è molto attento e sempre entusiasta, soprattutto quando si lavora sul repertorio antico. Ci sono alcuni ascoltatori fedeli che ci seguono fedelmente (mi riferisco a noi ”barocchisti”) e che sono sempre interessati alle riscoperte e alle grandi produzioni. Sento anche, da cantante italiana, che c’è un’alta considerazione e rispetto per l’italianità, soprattutto nella musica del Seicento/Settecento, dove la cifra dell’interprete si fa sentire sicuramente di più.

Oggi, quasi vent’anni dopo il debutto mozartiano per AsLiCo, l’elenco dei ruoli da Lei interpretati ben dice la cifra di una personalità in continua ricerca, che sembra voler sfidare sé stessa osando incursioni in territori lontani dalla propria comfort zone… Quali sono, in questo ventaglio di figure e di personalità, quelle che ha sentito più vicine per temperamento e per vicenda e quali, invece, Le sono costate maggior sforzo nell’essere “addomesticate”?

Una gran bella domanda: sicuramente mi trovo a mio agio nel “buffo”. Ho sempre avuto una certa energia sulla scena, dunque Despina e Cherubino sono ad esempio ruoli che mi sono molto congeniali… e un po’ per contraltare, sono anche piuttosto portata per i ruoli intensi e drammatici, come Dido o la Messaggera dell’Orfeo.
Credo che i ruoli più “patetici”, i personaggi un po’ più deboli e tormentati forse siano quelli che mi richiedono più lavoro, proprio perché devo contenere la mia energia e dosarla. Penso ad esempio al Sesto della Clemenza, ruolo che ho amato moltissimo, ma che spesso risulta e deve risultare debole e insicuro. Una bella sfida.

Veniamo ora al presente e, quindi, al futuro. Ad attenderLa, a breve, sono due debutti händeliani. Il primo sarà in Giulio Cesare, al Teatro Petruzzelli di Bari, dove, dal 19 al 23 settembre, interpreterà lo sfaccettato personaggio di Sesto. Com’è stato accostarsi a questo antieroe, dominato dal senso di sconfitta e da desiderio di rivalsa? E com’è calarsi nella mente e negli agiti di un giovane uomo?

È sempre interessante trovarsi sulla scena per essere ciò che non si è nella vita reale… un uomo ad esempio: è uno dei regali di questo mestiere. Sesto è un personaggio in continua evoluzione, da ragazzo diventa uomo nel corso dell’opera, questo aspetto è molto interessante: come dicevo prima, per me è una sfida per me sapermi dosare e andare alla ricerca della parte più debole e intima di un personaggio.

La produzione barese è particolarmente attesa anche per la doppia firma di Damiano Michieletto alla regia e di Stefano Montanari alla direzione dell’Orchestra del Petruzzelli. Senza troppo svelare al pubblico che avrà il piacere di assistere alle recite, cosa può dirci dell’impronta data da queste due così forti personalità a questo Giulio Cesare?

Si tratta sicuramente di uno spettacolo forte, ricco di simboli e riferimenti anche di carattere storico. Il Sesto concepito da Michieletto è un personaggio che si evolve in maniera chiara e che non resta certo indietro o in attesa. Una visione davvero interessante, più “forte” di quello a cui siamo abituati. Con il Maestro Montanari si va sempre in una direzione molto teatrale, alla ricerca di un ritmo scenico accattivante che è fondamentale in questo repertorio.

Sul palco barese ritroverà il magnifico Raffaele Pe, con il quale, nei mesi difficili della pandemia, aveva interpretato un altro titolo händeliano nel quale, ancora una volta, avevamo potuto apprezzare, seppur dalla limitante platea della diretta streaming, la Sua torreggiante personalità: la serenata Aci, Galatea e Polifemo, in cui vestiva i panni della nereide. Terzo vertice di un cast d’eccezione era uno strepitoso Andrea Mastroni. Com’è stato lavorare nelle condizioni imposte dal distanziamento e cosa ricorda di quella collaborazione con il controtenore lodigiano con cui si appresta a questa nuova produzione?

Devo dire che ho un bellissimo ricordo di quella produzione: nonostante l’effetto straniante del teatro vuoto, in un periodo così difficile è stato davvero un regalo poter essere su un palco che, nel mio caso, era anche quello di casa. Raffaele è un cantante e collega straordinario, ormai un amico.
Ci siamo conosciuti ben prima di quella produzione, in occasione di un rarissimo Bajazet di Gasparini, e da lì è nata una bellissima collaborazione. Recentemente abbiamo cantato Rodelinda assieme al Theater an der Wien con il suo ensemble “La lira d’Orfeo” che sta acquisendo un ruolo di primo piano tra i gruppi italiani. È sempre un piacere condividere i progetti con lui, per la sua intelligenza umana e musicale e per la grande creatività.

E con Pe, insieme alla Cleopatra di Sandrine Piau, a completare un cast di prima grandezza sarà la grande Sara Mingardo nei panni di Cornelia. Non serve aggiungere altro per correre a controllare l’agenda e prenotare una poltrona al volo…

Devo dire che è per me un grande onore e piacere cantare con artisti di questo calibro, che hanno già interpretato quest’opera tante volte e che dunque possono apportare idee e visioni ulteriori. Penso davvero di poter dire che vale la pena di fare un giro a Bari!

A novembre, ancora Händel: questa volta a Ravenna, al Teatro Alighieri, dove sarà Alcina nell'ambito del Ravenna Festival. Un’altra figura decisamente complessa e sfidante che si aggiunge al Suo catalogo di profili. Come ne sta delineando l’identità?

Questo debutto di Alcina è un momento che aspetto con molta trepidazione: ho già affrontato un’Alcina, quella dell’Orlando vivaldiano, l’anno scorso al festival di Bayreuth. Trovo però che nell’opera di Händel si raggiungano gli apici della forza magnetica di questo personaggio magico e incantatore, ma anche fragile e innamorato e, come tale, ricco di sfaccettature tutte da trovare. E poi è un grande ruolo da prima donna handeliana, un vero sogno.

In questa occasione, regia, scene e costumi avranno il sigillo di Pier Luigi Pizzi, mentre in buca, alla testa dei valorosi musicisti dell’Accademia Bizantina, CI sarà il loro fondatore Ottavio Dantone. Anche in questo caso, i loro soli nomi fanno da credenziale, al buio, alla bellezza di questa produzione. Come sarà ritrovare questi due giganti del teatro in questa nuova avventura?

Quale modo migliore di affrontare un debutto. Col Maestro Dantone ci conosciamo da tempo e sono certa saprà creare una magia per questa musica meravigliosa, lui che è sempre all’ascolto dei cantanti. E poi ci sarà l’occhio teatrale ed estetico del Maestro Pizzi. Io trovo che lui nel repertorio barocco riesca davvero a mettere la “meraviglia”, quella qualità speciale che incantava il pubblico del 600 e che oggi si è un po’ dimenticata. Davvero non potrei chiedere di meglio.

Nella Sua agenda, c’è spazio anche per l’insegnamento. Al Conservatorio Monteverdi di Cremona, dove è docente di canto barocco. Che approccio utilizza per guidare i Suoi allievi alla scoperta e valorizzazione della propria vocalità?

Ritengo sempre che si canti la musica che si ama. Ogni studente deve trovare la sua strada, la propria nicchia, cercando, nell’ambito del proprio registro e delle proprie possibilità vocali, la musica che più si addice al proprio animo. Credo anche che molte volte si possano risolvere questioni tecniche, o scoprire più a fondo la propria voce, proprio lasciandosi guidare dalla musicalità.

Quali sono, a Suo avviso, gli errori che un docente deve accuratamente evitare nel suo difficile compito?

La parola d’ordine è prudenza: la voce è strumento delicatissimo e dunque va maneggiato con cura, cercando di dare agli studenti gli strumenti per arrivare a conoscersi e gestirsi. Trovo sempre molto importante che si riesca a rendere i propri allievi indipendenti e capaci, quanto prima, di andare avanti con le proprie gambe.

Da ultimo, a breve è attesa l’uscita del Suo ultimo lavoro discografico…Cosa ci può svelare in merito?

Posso dire ancora poco in realtà, stiamo ora ultimando il montaggio. È un progetto in duo con Michele Pasotti, amico e meraviglioso tiorbista, dedicato ad alcune gemme, molte delle quali inedite, del Seicento italiano, il mio primo grande amore… un progetto a cui tengo molto e che spero piacerà anche a voi!