Un incontro con il Maestro alla vigilia del debutto in Carmen al Regio Opera Festival
Secondo appuntamento con l’opera al Regio Opera Festival: martedì 21, giovedì 23 e domenica 26 giugno alle ore 21 al Cortile di Palazzo Arsenale andrà in scena una singolare, avvincente Carmen di Georges Bizet. Sul palco, per la regia di Paolo vettori - scene di Claudia Boasso, costumi di Laura Viglione e luci di Lorenzo Maletto – salirà un cast di prima grandezza con protagonisti Ketevan Kemoklidze nel ruolo del titolo, Jean-François Borras in quello di Don José, Benedetta Torre nei panni di Micaela e Zoltán Nagy in quelli di Escamillo. Alla testa dell’Orchestra e del Coro del Regio, quest’ultimo istruito da Andrea Secchi, sarà il giovane direttore romano Sesto Quatrini, qui al suo ennesimo confronto con una delle partiture più celebri e complesse del teatro d’opera. Lo abbiamo incontrato per catturare qualche anticipazione.
Maestro, tra qualche giorno salirà sul podio del Regio Opera Festival. Un rapporto, quello tra Lei e la città di Torino, che sembra consolidarsi ulteriormente nel segno di un crescente apprezzamento, a due anni dal concerto inserito nel cartellone di MITO. Come vive questo ritorno?
Sono felicissimo di tornare a Torino in primis dal punto di vista squisitamente affettivo, infatti il Regio è il Teatro al quale sono più riconoscente per essere stato il primo su tutte le fondazioni lirico-sinfoniche italiane ad invitarmi nel 2017 appena tornato in patria dagli Stati Uniti. Dal punto di vista professionale devo dire che adoro l'Orchestra del Regio che incontro per la terza volta. La felicità è doppia!
Questa volta, con le compagini di Orchestra e Coro del Regio vi cimenterete in un titolo “sacro” come Carmen, capolavoro indiscusso di Georges Bizet. Qual è stato il Suo personale approccio ad una partitura così cruciale per scrittura e tematiche?
Il mio approccio è quello della ricerca incessante di chiaro-scuri... grandi squarci sinfonici anche violentissimi, vicino a momenti di puro, levigato e dolcissimo lirismo. Cercherò di essere il più fluido possibile provando un massiccio uso del "rubato". Credo che il riferimento più straordinario rimanga sempre Georges Prêtre e a lui, umilmente, tendo ad isprirarmi nella lettura di Carmen.
Al di là dei facili quanto banali stereotipi che spesso la relegano nei cliché della femme fatale o della femminista ante litteram, che donna è, a Suo avviso, Carmen? Qual è oggi, secondo Lei, il suo messaggio al nostro tempo?
Non è un banale stereotipo! Finché ci saranno femminicidi più specificatamente causati da machismo, ignoranza, religione, volontà di controllo da parte degli uomini nei confronti delle donne libere, la triste storia di Carmen adempierà anche ad uno scopo educativo oltre che al piacere nell'ascolto delle sue note immortali. Se pensiamo alla storia agghiacciante della povera Saman Abbas vengono i brividi, e il collegamento è presto fatto: con Carmen professiamo una volta di più un esercizio di fede nella Libertà. Lo facciamo per Saman e per tutte le grandi Donne vittime di uomini piccoli e insignificanti.
Il taglio di questa Carmen, firmata dalla regia di Paolo Vettori, chiede un patto preliminare al pubblico: accettare una rimodulazione che sciolga gli enigmi della lingua francese e sappia così catalizzare una platea non esclusivamente circoscritta ai melomani. Complice e artefice di questo progetto è Sebastian F. Schwarz, autore di un adattamento, scritto in italiano, che vedrà Bizet (interpretato da Yuri D’Agostino) agire ed interagire sul palco. L’autore, quindi, che dialoga con la sua stessa creatura, oltre che con il pubblico. Qual è il Suo giudizio rispetto a simili operazioni, tese a favorire una maggiore e migliore divulgazione e, quindi, fruizione del grande patrimonio musicale?
Il mio giudizio non può che essere positivo. L'opera soffre di autoreferenzialità, e questa non è una supposizione. È un fatto. Se un Teatro importante come il Regio decide di raccontare la storia di Carmen in meno ore del previsto, e contestualmente di trasmettere al pubblico la storia di Bizet uomo e compositore, in una notte d'estate, in un contesto architettonico magico, con un grande cast, lo fa anche per smuovere quel senso d'immobilismo e solipsismo che attanaglia questo mondo. Allo stesso tempo si rende più attrattivo ad un pubblico più vasto. Approvo!
Nel cast, a vestire i panni della bella gitana sarà il mezzosoprano georgiano Ketevan Kemoklidze, altro gradito ritorno, a Torino, dopo uno splendido Faust. Speculare al personaggio di Carmen è quello della dolce, combattiva Micaëla, qui affidata al temperamento di Benedetta Torre, nemmeno trent’anni ed una carriera già di primo piano. Quali sono le opportunità e quali le eventuali difficoltà di lavorare con così giovani talenti?
Il cast che il Teatro mi ha affidato è di primissimo livello. Tutti loro cantano nei teatri più importanti del mondo. Non è certamente questo il caso di parlare di difficoltà. Direi tutt'altro...parlerei piuttosto di facilità nell'ottenere risultati ottimi.
Quanto a Lei, a Sua volta, possiamo dire che il Suo nome rappresenta una delle espressioni più limpide ed autorevoli della migliore Italia musicale nel mondo. A 38 anni, la Sua agenda sta prendendo un respiro sempre più marcatamente internazionale. Come si costruisce un simile percorso? Quali sono i passaggi fondamentali a cui non mancare e quali invece le trappole in cui non cadere?
Partirei dalle trappole: c'è un grande rischio di rilassarsi, quello che alcuni chiamano routine. Io questa la detesto e faccio di tutto per combatterla sia sul podio che come direttore artistico dietro una scrivania. Altro rischio sempre in agguato è che il successo e un po’ di fama annebbino la mente di un direttore d'orchestra e che lo portino a perdere le uniche vere e sane abitudini e attitudini che questo lavoro imporrebbe: l'abnegazione, l'umiltà nei confronti della partitura, lo studio perpetuo ed infine il costante interrogarsi sulla bontà delle proprie scelte indi interpretazioni.
Nei passaggi da non mancare io oserei inserire un'approfondita, lealissima e quanto mai cruda analisi di se stessi e dello spazio che si vuole andare ad occupare. Vale a dire capire prima possibile quali siano gli obiettivi realistici che ci si vuole dare. Cosa davvero si crede di poter fare per aggiungere qualcosa a se stessi e alla musica più ampiamente, in chiave interpretativa.
Ciò detto, a un direttore d'orchestra non possono (e non devono!) mancare una tecnica solida, la fantasia, l'immaginazione, il carisma, una cultura più ampia possibile, la capacità di ascolto degli altri ed infine... una buona valigia!
Quest'ultima sembra una battuta, ma se lei chiedesse a tutti i miei colleghi (me compreso) cosa ci manca di più, credo che tutti risponderemmo: la famiglia, gli affetti, la nostra casa e il suo focolare domestico. Siamo dei nomadi tutto sommato. Oltre alle cose meravigliose che vediamo e viviamo ogni giorno, e per le quali siamo veramente dei privilegiati, non bisogna altresì dimenticare che c'è un corrispettivo in negativo da pagare: rinunciare a ciò che per altri individui si chiama calma e serenità, o più semplicemente vita quotidiana. Per un direttore d'orchestra questa associazione di parole sparisce improvvisamente, ed è giusto dirlo, non tutti gli individui sono disposti o capaci a rinunciarvi.
Dal 2015 al 2016 è stato assistente di Fabio Luisi alla Metropolitan Opera di New York e al Festival della Valle d’Itria, dove nel 2017 ha avuto il suo debutto operistico italiano con il verdiano Un giorno di regno. Cos’hanno rappresentato quel biennio e quell’esperienza per la Sua formazione?
L'incontro con Fabio Luisi è la mia Epifania, il momento cioè dove si è manifestata nitidamente la strada della direzione in una declinazione molto più nobile ed eterea di come onestamente la immaginassi per il mio futuro. Il Maestro Luisi mi ha insegnato tanto e a lui devo gran parte di ciò che sono oggi. Il Metropolitan è stata un'esperienza meravigliosa, breve, molto intensa e ad un livello altissimo.
Martina Franca invece è il luogo e il Festival del cuore. Lì sono nato come musicista, moltissime persone mi hanno trasmesso il loro sapere e dato fiducia. È lì che ho conosciuto la mia futura moglie Maddalena che sposerò proprio a Martina Franca il prossimo luglio. Sono stati anni stupendi e decisivi sotto tutti gli aspetti per me.
Attualmente ricopre la carica di Direttore artistico del Lithuanian National Opera and Ballet Theatre. Che realtà è quella lituana rispetto alla formazione delle orchestre e alla partecipazione del pubblico alle proposte musicali?
È una realtà molto più dinamica delle nostre. La Lituania, ma più in generale tutta la prospettiva Baltica, cresce velocemente dopo l'ingresso in Europa del 2014. E la crescita riguarda anche gli aspetti artistici. Molta stampa estera anche italiana è venuta a visitare per alcune recite il mio teatro e tutti sono rimasti colpiti dal livello del coro e dell'orchestra, dell'amministrazione, del marketing, del dipartimento costumi, etc. Da direttore artistico personalmente sono riuscito a portare delle nuove istanze che mi riempiono di soddisfazione, sebbene il percorso sia ancora lungo. Più che altro, cosa straordinaria rispetto ad alcune nostre realtà, è che un direttore artistico è messo nelle condizioni di poter davvero incidere a 360⁰ sulla vita del teatro e questo consente di poter rischiare molto, sia nella programmazione tout-court che per ciò che riguarda progetti straordinari ed extra stagione. Sono molto orgoglioso che la Lituania mi abbia affidato le chiavi del Suo Teatro Nazionale e cerco, da par mio, di ripagarla al meglio delle mie possibilità.
Per concludere, sul leggio cosa La attende, nei prossimi mesi?
Sul leggio mi aspettano tante cose avvincenti. In primis a Vilnius dove oltre alla ripresa de "I Capuleti e i Montecchi", debutterò tre titoli: "Idomeneo", nella regia di Graham Vick, "L'Olandese Volante" e "Aida". Dopodiché nel futuro più prossimo sarò a Venezia per "Madama Butterfly", a Bergamo per il debutto al Donizetti con "Chiara e Serafina", a Copenhagen per "La Traviata", a Zurigo per "Don Pasquale" ed in Oman per "Le Nozze di Figaro" con l'Accademia della Scala.
Grazie infinite Maestro!