Recensioni - Opera

Intervista al baritono Federico Longhi

Incontriamo Federico Longhi, impegnato in questi giorni in Rigoletto a Parma. Una chiacchierata con l’artista, sulla voce, la carriera, le regie e tanto Giuseppe Verdi.

Federico, in questi giorni sei Rigoletto a Parma, come stanno andando le recite vista anche questa nuova situazione legata all’epidemia?

Stiamo andando bene. È un esperienza nuova ovviamente. Regie Covid, come vengono chiamate, perché ovviamente non ci si può toccare. Nessun contatto con mia figlia e tantomeno nell'ultima scena nella quale di solito è tradizione abbracciarla proprio perché Gilda dovrebbe morire fra le braccia del padre. E’ stato però interessante il lavoro fatto con il nostro regista Roberto Catalano, perché ha saputo comunque cogliere e scavare nella psicologia dei personaggi e lavorare molto con le luci. In poche parole Rigoletto usa degli stativi con luci calde come se fossero degli abbracci: rivolge le luci verso la figlia ed è un po' come scaldarla, come abbracciarla tramite questa luce. La stessa cosa fa Gilda con Rigoletto quando è disperato e in ginocchio, lo scalda con le luci non potendolo abbracciare realmente. Anche la “maledizione” è simboleggiata attraverso una luce fredda, tagliente, che illumina nei momenti opportuni la cicatrice che questo Rigoletto porta in volto e di cui si vergogna.

Catalano ha saputo scavare nella drammaturgia, rispettando le distanze richieste, ma con una regia molto funzionale, che, limitando i movimenti, ha dato la possibilità di concentrarsi maggiormente sulla musica. In questo senso abbiamo lavorato molto bene anche con il direttore, il giovane Alessandro Palumbo, addentrandoci con rigore e attenzione nella musica e nella drammaturgia verdiana. E lo dico a ragion veduta, avendo ormai fatto 5 produzioni di Rigoletto sia all’estero che in Italia. Anche con i colleghi si è creato un ottimo feeling, con le due giovanissime Gilde (Giulia Bolcato e Giada Borrelli) e con il tenore David Astorga con cui avevo già fatto Rigoletto lo scorso anno a Piacenza. Una bella squadra insomma con molte recite che durano ancora per le prossime settimane.

Sembra un paradosso, ma ci sono più recite adesso di quanto se ne fanno di solito, come dire in tempi “normali”.

Sì, ed è un bel segnale, perché io all’estero ero abituato a fare tante repliche. Dei Falstaff, dei Trovatore, Rigoletti e Vespri fatti all’estero, ci sono sempre almeno 14/15 repliche. Tante. Qua in Italia è raro, tranne l’Aida in Arena che ne avrà una decina in tutta l’estate, nessun’altro teatro programma più di quattro o cinque serate. Se poi ci sono due cast, ti ritrovi a fare due o tre repliche e poi è finita lì.

Questo è un gran peccato anche perché comunque la mia esperienza estera mi ha insegnato che, anche se le prove sono lunghe, si arriva all’assieme con l’orchestra, all’ante generale e alla generale che si è più che pronti. Perché si è potuto provare con calma e soprattutto maturare il personaggio. Io ad esempio sono molto intuitivo ma poi ho bisogno, sia vocalmente che scenicamente, di fare mio il personaggio… . A me non piace fare un copia incolla, non l’ho mai fatto e non lo voglio fare, perciò ho bisogno del mio tempo, qui a Parma l’ho avuto. Per me a Parma è stato un debutto. Parma ce l’ho nel cuore da tantissimi anni perché feci qui l’accademia della Ricciarelli nel 1989. In verità feci anni fa una produzione del compositore parmigiano Ferdinando Paër “La Camilla”. Certo Rigoletto in questo momento mio di maturazione personale e di carriera è stato veramente un bel debutto. Ovviamente tensione c’era, perché sappiamo che ci sono i verdiani, gli intenditori.

Parma può essere difficile.

Può esserlo è vero, però devo dire che sono molto contento anche perché loro stessi attraverso alcuni dei loro club hanno detto: proprio un Rigoletto cantato e non sempre solo un po’ “push push push….”

D’altra parte è proprio quello che Verdi ha scritto. Verdi scrive in certi punti: mezza voce, piano, pianissimo. E’ molto difficile farlo, lo so, perché devi avere una attenzione al livello tecnico vocale per evitare di buttare via. Devi avere un grande controllo su questo cavallo matto che è Rigoletto… se lo lasci andare, può succedere che si urla da capo a fondo. Bisogna spingere al momento giusto, ma al tempo stesso si può fare quello che Verdi ha scritto: tante mezze voci, tanto fraseggio, tanta intimità. Insomma non è un opera plateale.

E così torniamo alla possibilità e alla fortuna di averlo fatto tante volte: di volta in volta lo scavo psicologico e musicale aumenta. Io cerco di arrivare ad ogni nuova produzione come un foglio bianco. Perché ogni volta c’è un altro direttore e un’altra regia. Tu porti il tuo Rigoletto, c’è lo studio, però devi essere aperto ad una nuova conduzione sia musicale che teatrale.

Hai avuto molte esperienze anche all'estero, soprattutto in ambito tedesco.

Austria e Germania sono state le due nazioni che mi hanno dato tanto e mi stanno facendo crescere. Proprio questa estate a Erfurt avrei dovuto debuttare con Nabucco.

Sui famosi gradini.

Bravo, proprio il festival. Recupereremo qualcosa con dei concerti. Insomma ho fatto delle bellissime esperienze, molto formative, a Linz, Würzburg e anche alla Staatsoper di Monaco di Baviera con Rigoletto, Trovatore e Vespri Siciliani in francese. Quindi siamo sempre con Verdi, Verdi, Verdi fra Austria e Germania. Sono finito anche in Francia a cantare Rigoletto a Nizza, dove adesso dovevo appunto andare a maggio per la Lucia di Lammermoor.

Qual è la differenza di organizzazione e di prove fra Italia e i paesi germanici?

Ma l'organizzazione dipende un po' da teatro a teatro. Ad esempio qui a Parma c’è una organizzazione impeccabile.

È vero quello che si dice, che all'estero ci sia più tempo per provare gli spettacoli rispetto all’Italia?

C'è molto più tempo per provare all'estero. Per alcuni colleghi è addirittura una seccatura. Ti parlo dell'ultima esperienza con Rigoletto l'anno scorso: ho fatto 20 giorni a luglio, ho staccato per la pausa estiva e ho fatto altri 20 giorni di prove prima del debutto. Più di un mese di prove insomma. Ma devo dire che con questo mese e mezzo di prove, si arriva alle ultime prove che si riesce ad aggiungere, aggiungere, aggiungere. Si crea insomma, si è molto rilassati, ci si ricorda tutto quello che c’è da fare e spesso, in particolare nelle regie estere, ci sono un sacco di cose da ricordarsi. Spesso in Italia questo viene meno, non per colpa dei teatri o degli artisti, ma proprio per mancanza di tempo. Io sono un po’ un “diesel” e preferisco un periodo di prove lungo.

Nella scelta dei ruoli mi è sembrato di intravvedere una predilezione per parti molto teatrali, insomma in cui c’è anche tanto dell’attore. E’ un caso o una scelta precisa?

Potrei dire che è un caso, ma è un caso che fortunatamente mi accompagna, perché parli con uno che adora recitare. Io dico sempre che qualunque ruolo ha dietro una storia che va interpretata in modo completo e credibile.

Ho visto molto Gianni Schicchi, Rigoletto ma anche Ford che richiedono una indubbia verve attoriale.

Secondo me non c'è opera da non interpretare o da lasciarsi andare solo alla grande vocalità. Come dico sempre non facciamo solo dei gran vocalizzi, noi recitiamo, abbiamo delle parole, abbiamo il libretto tutto da recitare. Il canto dovrebbe sempre essere legato alla recitazione, legato alla parola, io per esempio adoro la parola verdiana. Dizione, articolazione e fonazione sono i tre pilastri, ci vuole l’acuto, ma ci vuole anche e soprattutto la parola legata alla musica. Sono contento che qui a Parma abbiano sentito le mezze voci, i legati, il sentimento e la parola di questo padre dolente. Poi vanno bene anche le corone e le puntature di tradizione, le faccio, ma il tutto nella complessità musicale e scenica del personaggio verdiano.

Si nota molto la differenza fra le produzioni estere, quasi sempre di teatro di regia, e quelle italiane ancora in larga parte più tradizionali?

Qualche volta, bisogna dirlo, è anche colpa di noi cantanti. Spesso tendiamo a mettere troppi paletti: questo sì, questo no. Io cerco sempre di essere disponibile e di collaborare con il regista. Dico sempre se una richiesta è difficile: “Proviamo”. E con un po’ di prove sono riuscito in scena ad assecondare quasi tutte le richieste dei registi. In fondo è sempre una sfida e questo è avvincente. Quello che conta alla fine è che dietro ad uno spettacolo ci sia lavoro e rigore, questa è una delle principali cose che ho imparato lavorando con Muti. Se c’è serietà e lavoro alla fine il risultato si vede.

Il baritono Federico Longhi nasce per caso o con una famiglia di musicisti alle spalle?

Mio papà e mio nonno avevano l’opera nel sangue e la ascoltavano molto, ma non hanno mai fatto niente a livello professionale. Mio papà cantava e studiava clarinetto. Io ho sempre avuto il piacere del canto e fin da bambino cantavo nella cantoria del paese. Poi ho avuto la fortuna di conoscere il baritono Giuseppe Valdengo, che abitava vicino a casa, mi ha ascoltato e mi ha detto “Tu hai una bella voce”. Ho iniziato a studiare con lui e da lì è partita la mia avventura. Io sono nato ad Aosta e la presenza di Valdengo qui mi ha portato fortuna. Poi come diceva mio papà io sono un po’ “Valdostrano” perché mio papà era vicentino e da parte di mamma sono toscano. Però sono nato ad Aosta e continuo a viverci con piacere. Inoltre ad Aosta devo la grande fortuna dell’incontro con Valdengo che ha messo le basi della mia tecnica e della mia idea di canto. Lui mi diceva sempre: la parola, la parola, l’interpretazione e la parola. Nel 1993, avevo vent’anni, ho debuttato in un concerto proprio con Valdengo, lui faceva Falstaff io facevo Ford. E anni dopo, nel frattempo avevo fatto il vero debutto con il Figaro rossiniano, venne la grande occasione ancora con Ford che potei interpretare con il maestro Muti a Ravenna. Ma questo solo dopo tanta esperienza di palco anche in ruoli minori.

E’ importante a inizio carriera farsi le ossa con i ruoli da comprimario?

Io dico di sì. Molti nascondono i piccoli ruoli all’inizio, io no, sono fiero di tutto quello che ho fatto, perché i piccoli ruoli e l’esperienza sono le fondamenta di una casa veramente solida. Il piccolo ruolo ti fa studiare, ti insegna ad essere pronto e spesso cantare quelle poche frasi è peggio che cantare Rigoletto: se ti perdi non puoi più riscattarti dopo. Quindi è molto importante la gavetta che però si tende a fare sempre meno.

Ho notato che a differenza di altri hai cantato spesso Ping nella Turandot, che è un bellissimo ruolo ma che non tutti i baritoni di primo piano vogliono cantare.

Adoro quel ruolo perché è completo, tutt’altro che facile e da molte soddisfazioni. Ricordo una critica di qualche anno fa dove hanno parlato meglio del mio Ping che financo di Calaf. Ping è un ruolo che accetterei sempre, l’anno che feci Falstaff con Muti, l’unico altro ruolo che tenni fu proprio quello di Ping in Arena. E poi devo dire che mi ha portato fortuna: lo feci a Palermo e di lì a poco mi chiamarono nello stesso teatro per cantare Tonio nei Pagliacci di Leoncavallo.

Per concludere, arrivati ad un certo punto della carriera, si riesce ad imporsi? Ad orientare le scelte artistiche in base alle proprie aspirazioni?

Imporre forse no, però devo dire che tutto è andato e sta andando come doveva andare. Prima Ford, Schicchi, poi Trovatore, Rigoletto e presto arriverà anche Nabucco. Direi che la carriera si sta sviluppando bene.

Verdi sopra tutti.

Verdi è il mio padre artistico. Ora c’è questo Rigoletto, poi i concerti estivi che saranno prettamente verdiani e poi a Parma ancora il Macbeth in francese. A Palermo però farò anche Lucia, avanti tutta insomma.

Manca solo Wagner…

Io l’adorerei, me l'hanno chiesto proprio in Germania. Vedremo. Poi continuo anche ad occuparmi di musica da camera, dove riesco veramente a sviscerare il rapporto musica e parola.

Per arrivare magari alla Winterreise di Schubert…

Bellissima. Musica e parola tutto in uno. E’ una regola che applico sempre, anche in queste repliche di Rigoletto, perché Rigoletto devi ben cantarlo e ben interpretarlo, lo vuole Verdi. E poi vedremo se nel futuro ci sarà un Wagner.

Per ora avanti a tutto Verdi.

 

Intervista a cura di R. Malesci. Supporto tecnico e video Danilo Furnari.