Recensioni - Opera

Juditha Triumphans: barocco al femminile

L’oratorio vivaldiano si ritaglia un meritato spazio nella Stagione d’Opera cremonese, nel sobrio ed elegante allestimento di Deda Cristina Colonna

Episodio biblico tra i più trattati nella storia dell’arte - con particolare insistenza in epoca barocca, a cominciare dalle celeberrime tele di Caravaggio e Artemisia Gentileschi – la cruda vicenda di Giuditta e Oloferne trovò espressione anche in musica circa un secolo dopo nello straordinario oratorio latino di Antonio Vivaldi: Juditha Triumphans Devicta Holofernis Barbarie.

Composta e rappresentata la prima volta nel 1716 al Pio Ospedale della Pietà, orfanatrofio e conservatorio veneziano, la partitura fu concepita per le cosiddette “figlie del coro” che lo popolavano, cui venne interamente affidata l’esecuzione canora e strumentale.

È da questa singolare genesi che lo spettacolo proposto da Deda Cristina Colonna prende le mosse, dando corpo scenico a una compagine tutta al femminile che era usanza si esibisse nascosta al pubblico da grate separative. Vediamo dunque soliste e coriste vestite di un rosso intenso, non solo suggestiva evocazione di sangue e violenza, ma anche richiamo agli abiti in tessuto carminio che le cosiddette “putte” all’epoca indossavano. Di grande impatto in questo senso i costumi di foggia settecentesca firmati da Manuela Gasperoni, che si occupa anche di dare forma alle belle scene senza tempo in cui si svolge la vicenda: apprezziamo un evocativo sistema di leggeri tendaggi semitrasparenti efficaci nel dare profondità, separando spazi esterni dove prevalentemente si svolgono azioni di carattere militare e spazi interni dedicati all’introspezione e all’intimità (ottimo anche l’apporto del comparto luci di Michele Della Mea). I movimenti di soliste e coriste proposti da Colonna – regista e coreografa – in perfetta sinergia compositiva con i movimenti di scena (l’intersecarsi fluido di veli, cornici, pedane) danno forma a un perpetuo tableau vivant di rara eleganza e sobrietà, splendido contesto visivo in un allestimento che quasi in punta di piedi mira a mantenere il maggior focus possibile sulla musica.

Una scelta vincente per favorire l’attento ascolto di un oratorio sacro e militare ricco di pagine di gran pregio, in un susseguirsi di dinamiche sempre varie tra abbandoni intimistici e ferocia carnale. Il maestro concertatore Carlo Ipata trae il meglio dall’orchestra Auser Musici nel suo singolare assetto con strumenti d’epoca tra le fila (con alcuni interventi solistici che accompagnano in scena le principali arie), valorizzando ogni timbrica e colore con grande incisività.

Uniformemente sugli scudi la compagnia di canto, che in un perfetto equilibrio di belle voci contraltili e sopranili interpreta con personalità la partitura in tutto il suo vigoroso fascino barocco.

Questo taglio di gran carattere lo ritroviamo in primis nella Juditha di Sonia Prina, in grado di affiancare all’impeto guerriero parentesi di dolce trasporto (particolarmente toccante l’aria “Veni, me sequere”, in un dialogo melodico con chalumeau e salmoè d’accompagnamento). All’assoluta padronanza vocale si unisce un’intensità teatrale in grado di rendere al meglio il tormento interiore della protagonista, divisa tra la salvezza del suo popolo e una sopita e sincera attrazione per il generale invasore.

Statuaria e solida Francesca Ascioti nel ruolo di Holofernes, con voce pastosa sempre ben proiettata e avvolgente. Seducente la sua “Noli o cara te adorantis”, cesellata con linea di canto pulita e coinvolgente intenzione interpretativa.

Di gran spessore l’Abra di Miriam Carsana, dotata di uno strumento intrigante e particolarmente incisiva nei recitativi.

Clamoroso successo personale per Shakèd Bar nel ruolo di Vagaus, cristallina nel canto d’agilità e attenta fraseggiatrice. La sua infuocata “Armatae face et anguibus” ottiene meritatamente entusiastici applausi a scena aperta.

Federica Moi dà infine voce di straordinaria profondità alle sanguinarie profezie di Ozias, con gravi vibranti ma altrettanta padronanza in tutte le fasce della tessitura.

Ottima anche la prova del Coro Arché preparato da Marco Bargagna, che impersona efficacemente sia la folla di donne betuliane sia l’esercito di soldati assiri.

Lo spettacolo registra un gran successo e numerose chiamate alla ribalta, nonostante un pubblico decisamente poco folto. La probabile causa è un titolo ad oggi poco frequentato e poco impresso nella mente degli spettatori, nonostante il gran valore musicale e culturale che esso racchiude: speriamo possa ritagliarsi maggiori spazi nelle prossime stagioni d’opera in Italia e nel mondo.

Camilla Simoncini