Recensioni - Opera

L’Enfant et les sortilèges di Maurice Ravel a Martina Franca

Nuova produzione del Festival della Valle d’Itria

È un incanto la fantaisie lyrique, L’Enfant et les sortilèges, composta da Maurice Ravel su versi di Sidonie-Gabrielle Colette, allestita in versione ridotta per ensemble cameristico di Didier Puntos nell’ambito della 51° edizione del Festival della Valle d’Itria presso il Chiostro di San Domenico di Martina Franca.

L’opera, presentata come nuova produzione del Festival a 100 anni dalla sua prima rappresentazione al Grand Théatre di Monte Carlo, ha letteralmente affascinato il pubblico per la magìa della musica e fantastica illustrazione dei quadri e personaggi. Concepito originariamente nel 1920 come balletto e con il titolo di Divertissement pour ma fille, per intesa artistica tra il principale orchestratore del Novecento francese e la celebre scrittrice, attrice di café-concert, il lavoro fu poi trasformato in musica di scena e completato nel 1925 in un racconto fiabesco della durata di tre quarti d’ora che lo stesso Ravel ebbe remore a definire “opera”.

La musica è fresca, multicolore, essenziale e sobria, in linea con lo stile delle composizioni musicali degli anni venti, ammiccanti al jazz e alla bitonalità. E’ opera composta da quadri musicali rappresentanti personaggi vari, descritti con generi e stili musicali tra i più disparati: dal fox-trot al ragtime, dalla polka al valzer e al minuetto, dal recitativo all’aria di bravura alla polifonia sacra; una sorta di sperimentazione stilistica condensata in un pastiche dai pezzi ora delicati e sognanti, ora ritmati e incalzanti, quasi un esercizio di stile alla “Queneau”, che diverrà stile compositivo imitato dai contemporanei di Ravel, come il “Gruppo dei Sei”.

L’Enfant et les sortilèges è opera per un pubblico eterogeneo. Il tema e i contenuti descritti interessano e investono il mondo dell’infanzia come quello dei grandi, veicolando un principio valoriale fondante dell’umanità: il “rispetto”. La storia del bambino svogliato nello studio e ribelle, che reagisce con violenza alla punizione della madre distruggendo con cattiveria il piccolo universo di oggetti familiari: dalla tazza alla teiera, dall’orologio a pendolo alla tappezzeria e ai libri di studio; che perpetra cattiverie a danno degli animali, si apparenta alla Storia di violenza e distruzione perpetrata dall’uomo a danno del suo simile, nel passato come nel presente. Lo stato di angoscia e gli incubi vissuti dal bambino per effetto degli incantesimi mossi dagli oggetti e animali vittime delle sue tirannie non sono dissimili dal diffuso terrore di distruzione e morte che attanaglia i popoli in guerra e l’intera l’umanità per una paventata guerra nucleare. L’improvviso e amorevole gesto di soccorso e cura compiuto dal ragazzino nei confronti di uno scoiattolo gravemente ferito non è diverso dall’auspicato incontro e confronto tra uomini e popoli desiderosi di costruire relazioni e ponti di “pace” attraverso il dialogo e il “rispetto” reciproco. In tali parallelismi e similitudini si ritrova il tema conduttore del Festival “Guerre e pace”.

I numerosi personaggi dell’operina sono rappresentati attraverso illustrazioni e bei pannelli/quadro, fantasticamente ideati e disegnati da Francesca Cosanti, manipolati dai cantanti dell’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti” che agiscono come architetti dell’immaginazione del bambino, muovendosi su alte pedane. L’idea della regista Rita Cosentino è apprezzata per la compiuta sintesi e combinazione di elementi e oggetti ridotti a più dimensioni e scale in spazi che sovvertono il mondo reale. Molto belli e colorati i costumi realizzati sempre da Francesca Cosanti: un bel pigiama a quadri rossi e verdi per Elena Antonini che ha vestito molto bene i panni dell’“enfant” dispettoso e capriccioso attraverso un’efficace azione scenica e chiara mimica facciale. L’artista si è fatta apprezzare per la corposità e omogeneità del registro vocale. Hanno indossato pigiamini a quadri variamente colorati anche i piccoli e giovani componenti del Coro di voci bianche della Fondazione Paolo Grassi, ottimamente preparato da Angela Lacarbonara. Fra i cantanti dell’Accademia del Belcanto, si segnalano le buone interpretazioni del baritono Kostantinos Stafylides (orologio a pendolo) e del soprano Virginia Genovese (principessa); di quest’ultima si apprezzano morbidezza e brillantezza in un’omogenea tessitura vocale. Buona è la resa polifonica del L.A. Chorus, Lucania & Apulia Chorus sul finale dell’opera. Qui la vocalità del gruppo, preparato da Luigi Leo e posto in un angolo del Chiostro, si esalta per compattezza e omogeneità di suono.

Bravi i sette componenti dell’ensemble strumentale, diretto da Myriam Farina con sapiente e precisa gestualità per ogni parametro e carattere musicale inscritto in partitura.

Al termine dello spettacolo, vivo successo per tutti!

Giovanna Facilla