La tragedia di Goethe in un nuovo allestimento curato da Cesare Lievi al Teatro Sociale
Quasi 25 anni fa Cesare Lievi iniziava la sua collaborazione con il CTB mettendo in scena due testi teatrali di Johann Wolfgang Goethe, ovvero Torquato Tasso e Clavigo, e sempre di Goethe è il titolo che segna la probabile conclusione di questo sodalizio, dopo oltre 10 anni di direzione artistica dello stabile bresciano. Infatti l’inaugurazione della stagione 2009/10 al Teatro Sociale è coincisa con l’annuncio del trasferimento del regista gardesano allo Stabile di Udine a partire dal prossimo anno.
Scritto in prima stesura in Germania e rielaborato dall’autore durante il suo celebre viaggio in Italia (con particolare riferimento al suo soggiorno sul Lago di Garda) Ifigenia in Tauride è uno dei capolavori del neoclassicismo tedesco. L’impianto drammaturgico, sostanzialmente statico, ricalca fedelmente la struttura della tragedia greca (molto più ad esempio di quanto non farà un Hoffmansthal con Elektra circa un secolo dopo), grazie anche alla scelta stilistica di utilizzare un linguaggio in versi; nello specifico il “blank verse”, caratteristico della scrittura Shakespeariana.
Nella sua traduzione italiana, peraltro molto efficace, Lievi sceglie di trasformare il linguaggio in prosa, pur mantenendone il lirismo e la musicalità, al fine di valorizzare un testo che è sostanzialmente di parola e non d’azione. Nella tragedia quello che conta infatti non è tanto quello che accade sulla scena, ma quello che viene vissuto dai personaggi, in particolare dalla protagonista, qui interpretata da un’eccellente Maria Alberta Navello.
La relativa immobilità della drammaturgia è stata comunque risolta molto bene grazie ad un impianto scenografico efficace firmato da Josef Frommwieser: un palazzo che mescola l’architettura classica con una struttura in cemento armato crivellato dai proiettili di una guerra che si intuisce da poco conclusa. Ad ogni cambio scena la struttura viene privata di un pezzo, in una progressiva spoliazione che si risolve in un ultimo atto in cui solo pochi elementi si distinguono in un palcoscenico buio e vuoto. Splendide le luci di Gigi Saccomandi che passano dall’alba iniziale alla cupa notte del finale attraversando tutte le ore della giornata, come appropriati si rivelano i costumi senza tempo di Marina Luxardo.
All’interno di questo spazio gli attori si sono mossi secondo geometrie estremamente semplici e lineari, mentre, dal punto di vista interpretativo, ha suscitato qualche perplessità il fatto che alcuni personaggi (Ifigenia e Arcade) usassero uno stile declamato, mentre altri (Toante, Pilade ed in parte Oreste) avessero un’impostazione decisamente più naturalistica.
Dal punto di vista delle singole individualità va segnalata la maiuscola prova della già citata Maria Alberta Navello, sempre intensa e partecipe, pur mantenendo una declamazione attenta e rigorosa. Gigi Angelillo è riuscito a stemprare in parte il rigore ed una certa negatività che il personaggio di Toante si porta con sé, rendendolo più umano, mentre Lorenzo Gleijeses ha caratterizzato un Oreste dall’irruenza a tratti eccessiva e non sempre pertinente, oltre ad aver sfoggiato una dizione tutt’altro che cristallina. Decisamente più efficace ed in parte si è rivelato il Pilade di Fabrizio Amicucci, mentre Sergio Mascherpa è stato un funzionale Arcade.
Nonostante la ricercatezza della proposta, il pubblico ha dimostrato di apprezzare questa nuova produzione, tributando meritati applausi a tutta la compagnia.
Davide Cornacchione 17 novembre 2009