Recensioni - Opera

La danza secondo Bejart Un ossimoro infinito

Il Béjart Lausanne Ballet in una straordinaria esibizione a Parma

Il primo pezzo presentato sul palco allestito nel suggestivo cortile della Pilotta è stato Suite Barocco. Il balletto corale e coloratissimo, creato nel 1997 per la sfilata di moda di Gianni Versace nei Giardini di Boboli a Firenze, ha messo in luce la grande versatilità di Bejart nel collaborare con successo con il famoso stilista italiano raccogliendone l’eredità cromatica all’indomani della sua tragica scomparsa. L’atmosfera tra illusione e sogno creata dalla musica barocca del XVIII, i ventagli maneggiati con sapienza di sapore orientale e i tagli di luce creati da Dominique Roman hanno marchiato gli spettatori con il timbro panteista della bellezza greca del kàlos kai agathòs al quale non è possibile restare indifferenti.
Il pathos drammaturgico splendidamente incarnato da Elisabet Ros in Étude Pour une Dame aux camelias rappresenta la sofferenza delle donne per i tormenti amorosi causati dagli uomini, ma anche la tragedia vissuta dal grande coreografo francese per la perdita della mamma avvenuta quando era ancora bambino. Una donna sola attorniata da una moltitudine di uomini e non uno che si interressi veramente a lei, che la abbracci con sentimento, ma ciascuno intento a rubarle un pezzo di cuore.
Bhakti III è uno dei tanti capolavori di Bejart, nato dopo un suo viaggio in India durante il quale i gesti della danza e della scultura indiana restano irrimediabilmente impressi nella sua mente. La musica, genuinamente originale, detta il ritmo delle immagini che si susseguono con sorprendente freschezza e fantasia: gambe e braccia si intrecciano e si avvinghiano per creare geometrie disegnate da rette spezzate e curve senza fine. Kateryna Shalkina in Shakti e Fabrice Gallarrague in Shiva sono stati divini proprio come li avrebbe voluti Bejart; linee pulitissime, prese perfette, balance precisissimi.
Impromptu (coreografato da Gil Roman) e Bolero possono essere letti in dicotomia: abiti chiari l’uno e scuri l’altro, corpo di ballo femminile il primo e maschile il secondo, romanticamente apollinea la musica di Schubert e violentemente dionisiaca quella di Ravel. In entrambi il sapiente lavoro del corpo di ballo che danza all’unisono si percepisce fino alle unghie dei piedi e delle mani che assumono posizioni naturalmente artificiose. Spettacolari i coni di luce che imprigionano i corpi in un piacevole spazio fittizio delimitato nelle due dimensioni del fondale e del tappeto danza, ma reso nella profondità dalle ballerine che seguono la circonferenza alla base.

Sonia Baccinelli  22 giugno 2016


Parmaestate ha aperto come meglio non si potesse sperare, riportando in scena il Béjart Lausanne Ballet dopo quasi dieci anni di assenza. I titoli rappresentati in queste due serate sono stati più “classici” e, anche se la scelta musicale non è stata travolgente come quella dei Queen, la serata è stata ugualmente trascinante e ricca di emozioni. Coreografo poliedrico e onnivoro, Bejart ha avuto il grande merito di portare il balletto nelle arene e farlo conoscere anche alle masse che, seppur prive degli strumenti necessari per comprendere le sue finezze filosofiche o la difficoltà tecnica di alcuni passaggi, apprezzano in toto la sua opera avvolta in una sorta di minimalista Gesamkunstwerk wagneriano.