Recensioni - Opera

La leggera magia del “Flauto”

A magic flute di Peter Brook in scena al Teatro Grande

Dopo lo storico Don Giovanni che aveva debuttato a Aix alla fine degli anni ’90, Peter Brook ha rinnovato il suo rapporto con il repertorio lirico mozartiano affrontando l’ultimo suo capolavoro, ovvero il flauto magico.
La differenza sta però nel fatto che, se nel primo caso si trattava di un’opera lirica con tutti i crismi (partitura integrale e presenza dell’orchestra), stavolta il regista russo-anglo-francese ha allestito una versione molto più libera e personale del celebre sinsgpiel, avvalendosi solo di un pianoforte sulla scena, attuando robusti tagli e compiendo scelte musicali che non rispecchiavano il massimo della filologia  (tra i brani abbiamo ascoltato anche qualche inciso tratto dai concerti per pianoforte e orchestra).

Questo spettacolo, che ha debuttato a Parigi,  ha ormai da un paio d’anni intrapreso una tournée mondiale che, per nostra fortuna, ha toccato anche il teatro Grande di Brescia, cui si riferisce questa recensione.
Brook ha deciso di ridurre l’opera alle sue componenti essenziali, ricorrendo, come nel suo stile, ad una spoliazione da tutti gli orpelli e tutti gli accessori che potrebbero appesantire la drammaturgia.
La scenografia è costituita solo da una serie di canne di bambù, spostate di quando in quando da due attori, che possono diventare foresta, palazzo di Sarastro, prigione e quant’altro, nel quale agiscono  attori-cantanti che danno vita con assoluta spontaneità e leggerezza alle situazioni che stanno alla base della vicenda.
Il tutto si risolve in uno spettacolo di straordinaria freschezza in cui il gap linguistico (il canto è in tedesco e la recitazione in francese) non viene minimamente percepito. Il flauto magico è sì una fiaba in musica, ma i sentimenti raccontati sono sentimenti umani, nei quali ognuno di noi si identifica, ed alla fine è proprio il linguaggio dei sentimenti che prevale su tutti gli altri, arrivando diretto al pubblico che, inevitabilmente, partecipa, si commuove e applaude.
 Tutti giovani i cantanti tra i quali si segnalano l’estroverso Papageno di Thomas Dolié e l’intensa Pamina di Dima Bawab. Meno convincenti il Sarastro di Vincent pavesi e la Regina della notte di Leila Benhamza.
Rimarchevole la prova di Abdou Ouologuem nel demiurgico ruolo del mago, che ha accompagnato il dipanarsi della vicenda intervenendo con efficacia e puntualità.
Calorosa ed intensa la risposta del pubblico che purtroppo non riempiva la sala del Grande come invece lo spettacolo avrebbe meritato.
 
Davide Cornacchione 2 novembre 2013