Recensioni - Opera

Le battaglie con il bisturi in Caterina Cornaro a Bergamo

Ottima concertazione e compagnia di canto, singolare messa in scena

Per il Donizetti Festival 2025 viene proposto come spettacolo di punta una nuova edizione critica di Caterina Cornaro di Gaetano Donizetti, a cura di Eleonora di Cintio, che riprende lo spartito secondo le intenzioni del compositore, fondendo la versione censurata per il debutto napoletano con la successiva rivista per Parma.

Riccardo Frizza, a capo dell’orchestra Donizetti Opera, ci regala una concertazione maiuscola della partitura. Una lettura intensa e coinvolgente, con il giusto accento sullo sviluppo delle melodie donizettiane e un rapporto buca palcoscenico sempre attento e calibrato. Un’ottima prova per il direttore.

Superba anche la compagine canora. Un cast scelto con cura e ai massimi livelli.

Carmela Remigio è una Caterina intensa e sfaccettata, supera di slancio le difficoltà con voce sicura e timbrata, regalando al personaggio piglio e credibilità. Al suo fianco un sorprendente Enea Scala come Gerardo. Il tenore siciliano ha voce accattivante e sonora, fraseggio accurato e grande facilità negli acuti.

Lusignano era Vito Priante. Una sorpresa. Baritono di voce squillante, fraseggia con gusto ed eleganza, svetta con naturalezza nel registro acuto. Riccardo Fassi, Mocenigo, interpreta un cattivo a tutto tondo, molto a suo agio nella parte; convince per accento e fraseggio forte di una voce scura e pastosa.

Fulvio Valenti, Francesco Lucii e Vittoria Vimercati completano perfettamente un cast ideale.

Singolare la messa in scena curata dal regista Francesco Micheli, con le scene di Matteo Paoletti Franzato, i costumi di Alessio Rosati, le luci di Alessandro Andreoli, i video di Matteo Castiglioni e la drammaturgia di Alberto Mattioli.

Il team creativo tenta la strada del “Regietheater”, senza tuttavia osare fino in fondo. La scena girevole è abbastanza semplice: una parete rotante che da una parte staglia un’architettura classica e dall’altra una sala d’aspetto di un ospedale. Il tutto completato da immagini proiettate di vario genere: disegni tecnici sull’architettura, scritte relative ai personaggi e all’azione, fino a riproduzione di quadri rinascimentali del Mantegna. Il coro è sempre in costume, così come il “cattivo” Mocenigo; ai “buoni”, Gerardo e Caterina, tocca alternarsi fra antico e moderno. Lusignano passa da impersonare un Re rinascimentale completo di corona, a malato in barella con tanto di camice operatorio azzurro.

Il “cattivo Mocenigo”, emissario della perfida repubblica di Venezia nel libretto, diventa quasi la personificazione della malattia che colpisce Lusignano, sposo di Caterina dopo che essa ha dovuto rinunciare all’amato Gerardo. In realtà nel libretto Lusignano viene avvelenato dallo stesso Mocenigo, ma questo poco importa. Durante lo spettacolo si alternano scene classiche in costume rinascimentale e intermezzi ambientati nella clinica dove viene curato Lusignano e dove la moglie Caterina è costretta a lunghe attese in sala d’aspetto. Tutto è organizzato in maniera accurata e professionale, ma niente risulta particolarmente originale.

Qua e là non manca qualche caduta di stile, come la battaglia finale, affrontata da tenore e coro con il bisturi in mano anziché con la spada. Tutti si slanciano ad operare in massa lo sfortunato Lusignano, in una scena che sfocia inevitabilmente nel comico.

Il difetto maggiore sta nella mancanza di coraggio: occorreva forse sviluppare la drammaturgia contemporanea in pieno, senza ammorbidirla con le scene in costume. Nel nord Europa non avrebbero probabilmente avuto dubbi, in Italia, si sa, è diverso. Ne sortisce un effetto di confusione, una commistione che non è né carne, né pesce che alla lunga confonde e irrita. Peccato.

Grande successo nel finale per il direttore e per la davvero meritevole compagnia di canto.

Raffaello Malesci (Sabato 22 Novembre 2025)