Recensioni - Opera

Le infinite lacerazioni dell’animo umano

Copenhagen di Michael Frayn in scena al Teatro Ponchielli

Michael Frayn, che con questa piece ha vinto nel 2000 il Tony Award per il miglior spettacolo, immagina che i protagonisti dei fatti del ’41 si reincontrino post mortem e cerchino di spiegare l’uno all’altro le proprie scelte di vita, le proprie decisioni in campo scientifico a favore di opposti schieramenti, decisioni che in entrambi i casi hanno aperto laceranti casi di coscienza.

Heisenberg era andato a Copenhagen per informare il maestro del fatto che i Tedeschi stavano lavorando alla bomba atomica? O piuttosto per carpirgli delle informazioni inerenti l’avanzamento degli studi in tal senso compiuti negli Stati Uniti da Fermi e colleghi? E soprattutto, quando in Germania egli era quasi giunto alla conclusione del proprio lavoro, aveva commesso un grossolano errore di calcolo o quest’ultimo era stato compiuto appositamente al fine di non garantire ai Nazisti la possibilità di utilizzare di un’arma di distruzione di massa? Frayn nel suo spettacolo non lo chiarisce, lascia il dubbio nello spettatore. Le azioni umane non sono mai totalmente giuste o sbagliate, in esse c’è sempre qualche lato oscuro, qualcosa che crea rimorso: per Heisenberg nello specifico il senso di colpa sarà quello di aver contribuito in qualche modo alla distruzione totale della propria amata nazione, dovendo così sopportare la vista dei propri concittadini feriti nel corpo e nello spirito, per Bohr, invece, quello di aver collaborato, grazie a una provvidenziale fuga verso la Svezia non occupata, alla creazione di un ordigno che causò una catestrofe.

La scenografia di Giacomo Andrico è essenziale e, in tono perfetto con i costumi realizzati da Gabriele Mayer, è tutta improntata sul nero e il grigio: tre sedie, alcuni gradini, lavagne piene di formule sullo sfondo.
A vegliare sull’incontro, la straordinaria Margrethe Bohr di Giuliana Lojodice che rappresenta l’elemento razionale, la donna coi piedi per terra, dotata di una visione realistica e disincantata dei fatti, quasi una moderatrice che tenta di disciplinare in qualche modo la discussione dei due amici/rivali. Massimo Popolizio è un Heisenberg dilaniato, che fatica ad aprirsi e prova ancora un reverenziale rispetto nei confronti del più deciso Bohr magistralmente interpretato da Umberto Orsini.

Uno spettacolo complesso, ma imperdibile, oltre che per la magistrale interpretazione, per riflettere sui limiti etici della scienza e sull’indeterminatezza del nostro essere e delle nostre azioni.

 

 

 

Simone Manfredini 13/02/2018

 

Un incontro dal contenuto misterioso quello avvenuto nel 1941 a Copenhagen fra i fisici Niels Bohr   e Werner Heisenberg, un incontro fra due delle migliori menti del XIX secolo, impegnate a vario titolo a lavorare sul problema della fissione nucleare. Mentore e allievo si ritrovano dopo anni e la memoria corre subito verso periodi ben più lieti che sembrano appartenere però ad un passato ormai remoto. A rovinare gli antichi affetti, giunge subito l’ombra lunga e angosciante della guerra che separa e non unisce, che rende cauti e caustici, alimentando diffidenze di varia natura.