Recensioni - Opera

Le mutande tra i panni sporchi della borghesia

Il testo di Starnheim, satira antiborghese, in scena al teatro Santa Chiara

Carl Starnheim è figura particolare all'interno delle avanguardie teatrali tedesche di inizio '900. Le sue opere infatti, pur appartenendo alla corrente  espressionista, critica nei confronti borghesia, non possiedono né la crudeltà di un Wedekind né la componente politica di un Brecht. La cifra distintiva di Starnheim è la satira: una satira spietata, feroce, ma non priva di un sorriso (o meglio di un ghigno) sulle labbra, che lo rende più vicino agli scrittori di cabaret, come ad esempio Karl Valentin. I suoi personaggi infatti sono caratteri, maschere bidimensionali che non hanno spessore psicologico, ma agiscono semplicemente assecondando quegli istinti, generalmente i più bassi ed elementari, che sono alla base dell'esistenza umana.

Anche i protagonisti di "Le mutande", primo testo appartenente al ciclo dell'Eroe borghese, allestito dal Centro Teatrale Bresciano al Teatro Santa Chiara con la regia di Monica Conti, appartengono a questa categoria di macchiette. Non a caso i proprietari della casa in cui si dipana l'azione di cognome fanno Maske, a sottolinerarne per l'appunto il ruolo di maschera.
Prendendo spunto dall'accidentale smarrimento di un paio di mutande l'autore dà vita ad una giostra di situazioni in cui ognuno dei cinque personaggi coinvolti manifesta la propria amoralità: dal marito geloso che però non disdegna le grazie della procace vicina, alla moglie finta ingenua che asseconda le attenzioni tutt’altro che caste dei due inquilini.
Cinque caricature che potrebbero essere assimilabili a "tipi" quali Tartufo, Argante o Arpagone (non a caso Starnheim è stato definito il Molière della sua epoca), ma che a differenza di questi non sono cattivi, bensì talmente ottusi e cialtroni da risultare totalmente amorali. Il loro riempirsi la bocca di citazioni da autori quali Nietzsche e Wagner, di cui non capiscono una parola, è semplicemente un atteggiamento, una posa, visto che poi agiscono in maniera diametralmente opposta, sbeffeggiando per l’appunto quella borghesia che si crede superiore solo perché ripete qualche concetto a pappagallo.
La regista Monica Conti ha scelto di impostare questo nuovo allestimento strizzando l'occhio all'espressionismo, quindi: recitazione macchiettistica e sopra le righe, molto dinamica e basata su movimenti antinaturalistici e stereotipati. I protagonisti  non sono uomini ma pupazzi, pertanto anche il testo viene scandito in modo quasi automatico, molto veloce (a volte anche troppo, a scapito dell’intelligibilità) quasi a trasformarlo in una vuota sequenza di parole senza un vero e proprio pensiero alla base.
Efficace il cast di attori che asseconda adeguatamente questo disegno, a partire dai due padroni di casa, ovvero Sergio Mascherpa, nel ruolo del marito opportunista e Diana Hobel, che interpreta la moglie stralunata ma anche civettuola.
Accanto a loro l’energica vicina di Federica Fabiani e i due affittuari cialtroni interpretati da Antonio Giuseppe Peligra e Nicola Stravalaci.
Il pubblico, costituito in buona parte da scolaresche che riempiva il teatro Santa Chiara ha mostrato il proprio apprezzamento applaudendo con convinzione.

Davide Cornacchione venerdì 11 febbraio 2011