Recensioni - Opera

Les Contes d’Hoffmann in bianco e nero alla Scala

Davide Livermore presenta uno spettacolo ispirato alla magia con un prevalere di accenti tetri

Dopo poco più di un decennio d’assenza tornano al Teatro alla Scala “Les Contes d’Hoffmann”, ovvero I Racconti di Hoffmann, opera fantastica di Jacques Offenbach, con la regia di Davide Livermore e la direzione di Frédéric Chaslin.

Opera curiosa e complessa questo testamento musicale del compositore Jacques Offenbach. Un compositore nato in Germania ma naturalizzato in Francia, anzi a Parigi, dove diventerà icona dell’operetta e di un’epoca, il secondo impero di Napoleone III, dedita al lusso e al divertimento, prima della catastrofe del 1870 nella guerra contro i Prussiani.

Offenbach con “Les Contes d’Hoffmann” vuole cimentarsi nell’opera seria ma non riuscirà mai a vedere la prima rappresentazione perché morirà qualche mese prima. Ne risulta perciò una complessa situazione filologica, con molte versioni dell’opera e diversi rimaneggiamenti.

Il filone è quello del romanticismo nero ispirato ad Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, scrittore di inizio ottocento, che con i suoi amori totalizzanti diventa protagonista in prima persona, non solo letterario, della partitura.

Livermore sceglie una messa in scena tutta basata su colori scuri, abbracciando una lettura magica e tetra della storia, invero arzigogolata, degli amori del poeta Hoffmann. Dunque frequenti sono i rimandi funerei, con un inizio e un finale che sono sostanzialmente il funerale dello stesso poeta, immaginato suicida oppure ucciso da una delle sue amanti.

Livermore si avvale molto del gioco di ombre affidato alla Compagnia Controluce con effetti spesso suggestivi ed efficaci. Regia precisa, accurata, sovrabbondante di riferimenti e rimandi. Allestimento curato e particolareggiato, di grande perizia, in cui tuttavia si riscontra un eccesso a tratti manieristico. Troppa carne al fuoco che alla lunga scade nell’effetto fine a sé stesso, senza cogliere un filone veramente illuminante.

Efficace nel suo insieme la compagnia di canto con Vittorio Grigolo che affronta la difficile parte di Hoffmann con la sua solita spavalderia, risolvendola con un’interpretazione stentorea, a tratti eroica, confermando una voce ben proiettata e facile all’acuto. Al suo fianco Luca Pisaroni, che interpreta le parti di Lindorf, Coppelius, Dapertutto e Miracle, sfoggia una voce convincente, con un fraseggio accurato e una buona omogeneità in tutti i registri. Molto elegante il suo canto, mentre l’interprete manca forse della verve diabolica in alcuni dei personaggi.

Apprezzabili le interpreti femminili. Federica Guida, che ben si destreggia nella parte della bambola Olympia. Eleonora Buratto è una Antonia dalla voce importante e ben gestita. Francesca di Sauro disegna una Giulietta ben centrata. Sicura e spavalda Marina Viotti nella parte en travestì di Nicklausse. Ottimo cameo di Alfonso Antoniozzi come Luther e Crespel.

Frédéric Chaslin dirige con piglio l’orchestra della Scala, dando una lettura in cui prevalgono gli accenti esteriori della partitura.

Applausi frettolosi da parte del pubblico nel finale.

Raffaello Malesci (21 Marzo 2023)