Evocativo ma statico l’allestimento di Pizzi, buona la compagnia di canto
Dopo quattordici anni di assenza tornano al Teatro Regio di Parma I Lombardi alla Prima Crociata di Giuseppe Verdi in un allestimento firmato per intero dal veterano Pier Luigi Pizzi, con la direzione musicale di Francesco Lanzillotta.
Pizzi sceglie, come suo solito, un taglio prettamente estetico e visuale, ispirandosi principalmente alle diverse parti soliste affidate da Verdi ad arpa, clarinetto ma soprattutto al violino così preminente nell’introduzione al terzetto che nel terzo atto anticipa la morte di Oronte.
Il violino solista (nella persona della brava Mihaela Costea) diventa così il fulcro centrale dell’idea registica, la violinista infatti appare in scena fin dall’inizio e da il “la” all’orchestra dal palcoscenico, poi ritorna nel terzo atto e, in scena, suona la lunga introduzione solistica affidata al suo strumento. La sua performance è accolta da un lungo applauso. Pizzi mette poi in scena anche altri strumenti senza però che questi catalizzino l’attenzione come il violino.
Un tentativo di simboleggiare la centralità della musica e della partitura. Per il resto il decoro scenico è affidato principalmente a immagini che promanano da una luminosa parete a led sullo sfondo. Sul bianco candore iniziale si vede uno squarcio nero verticale, che ritorna anche alla fine dell’opera accompagnato dall’entrata in scena di due fanciulli vestiti di bianco, uno con in mano un piccolo violino. Lo squarcio e il violino dunque, questi i cardini iniziali e finali della messa in scena.
Le valenze simboliche potrebbero essere molte, lo squarcio potrebbe richiamare la vita, alludere all’artista Fontana oppure per i più maligni all’occhio di Sauron. Il riferimento nel finale di nuovo al violino e alla musica potrebbe essere la chiusura di un cerchio. Il tutto però resta vago, poco risolto. Per il resto infatti le immagini sono essenzialmente didascaliche: Sant’Ambrogio a Milano per il primo atto, il deserto e Gerusalemme, simboli religiosi di redenzione e così via.
La messa in scena è sostanzialmente statica, i costumi rigorosi ma anonimi. Se togliamo la scena del violino, indubbiamente azzeccata, rimangono una serie di tableaux vivant ben organizzati e suggestivi, ma con cantanti e coro sempre in posa a cantare frontalmente. Le poche scene di azione sono affidate ai mimi che risolvono la battaglia finale con movimenti lenti e simbolici, mentre i rari tentativi di far muovere e agire il coro si risolvono in costruzioni impacciate e poco credibili. La staticità prevale su tutto, la scena è sempre rigorosa e piacevole, ma alla fine ci troviamo davanti ad un concerto in costume con qualche elemento simbolico. Ad onore di Pizzi bisogna però anche dire che la messa in scena non intralcia mai la musica, il teatro musicale è un’altra cosa, ma forse con le prove concesse oggi, questo è il massimo che si può pretendere.
Certo I Lombardi sono opera caotica e giovanile di Verdi, con una trama che più arzigogolata non si può, quasi sulla scia delle più improbabili trame barocche. Mancherebbe solo un personaggio che si travesta da donna o da uomo a seconda delle circostanze e assommeremmo tutti gli stilemi di una trama inverosimile e confusa. Il libretto poi, letto oggi, potrebbe essere una perla di comicità involontaria. Incredibilmente però le pagine corali sono toccanti, così come il terzetto della morte di Oronte nel terzo atto. Materiale difficile nel suo complesso dunque, a cui Pizzi, in coerenza al suo stile, ha dato una soluzione essenzialmente illustrativa.
Certo il Festival Verdi dovrebbe farsi carico di reinterpretare anche teatralmente le opere più desuete del maestro che celebra. L’edizione critica musicale, pur lodevole, non basta. Verdi era uomo di teatro. È il teatro di Verdi a cui dobbiamo dare vita nuova se non vogliamo che le riprese di queste opere si trasformino solo in filologia per addetti ai lavori o in occasioni sparute per riascoltare un paio di bei cori.
La preparazione scenica dei cantanti sembra riesumare l’ottocentesco “Prontuario delle pose sceniche” di Alamanno Morelli per banalità e convenzionalità dell’agire scenico. Tuttavia la compagnia si riscatta egregiamente dal punto di vista vocale.
Veterano del personaggio, Michele Pertusi si conferma un Pagano di prim’ordine nello scolpire la frase verdiana, regalandoci una interpretazione elegante e misurata, adattata in modo intelligente agli attuali mezzi del cantante.
Lidia Fridman risolve con professionalità l’ardua parte di Giselda, cantata con trasporto e partecipazione al netto di diverse asprezze nel registro acuto.
Antonio Poli è stata una gradita sorpresa nella parte di Oronte, che interpreta con slancio, voce ben timbrata, piena e sonora. Facili e svettanti le sue salite all’acuto. Sorvegliato nel fraseggio e nitido nella dizione, il tenore convince su tutta la linea.
Ottimo e professionale il resto del cast: Antonio Corianò, Giulia Mazzola, Luca Dall’Amico, William Corrò, Galina Ovchinnikova, Zizhai Chen.
Convincente la direzione di Francesco Lanzillotta. Superlativo il coro del Teatro Regio di Parma diretto da Martino Faggiani.
Molti applausi nel finale.
Raffaello Malesci (Venerdì 29 Settembre 2023)