Recensioni - Opera

Lohengrin a Erl: il santo Graal è la musica

Ottima messa in scena della regista Katharina Thoma per il secondo titolo wagneriano del festival estivo di Erl in Tirolo

Secondo titolo wagneriano per il bel festival tirolese di Erl, ottimamente organizzato e sempre con titoli e allestimenti curati e interessanti. Dopo L’Oro del Reno, torniamo dunque ad un Wagner giovane con l’opera romantica Lohengrin.

Netta la differenza musicale e drammaturgica rispetto alla più tarda tetralogia, al Parsifal o a Tristano e Isotta: Lohengrin fa ancora ricorso, pur in una temperie già prettamente wagneriana con frequente utilizzo del Leitmotiv, a pezzi d’insieme e concertati che saranno tralasciati nel Wagner più maturo. Di stampo spiccatamente romantico Lohengrin permette, accostata all’Oro del Reno, di cogliere con chiarezza l’evoluzione dello stile Wagneriano. In Lohengrin, pur senza avere dei classici pezzi chiusi, troviamo netta la predisposizione ad un’impostazione musicale mutuata dall’opera ottocentesca, ove sono ancora riconoscibili stilemi quali arie, duetti e maestosi pezzi d’insieme.

La regista Katharina Thoma sceglie di leggere la storia medievale del cavaliere del Graal, giunto a salvare Elsa di Brabante accusata di fratricidio, mescolando antico e moderno, infatti da una parte i brabantini vestono in abiti contemporanei, mentre i seguaci del Re in abiti medievali. Il cavaliere Lohengrin non arriva su un cigno, bensì il suo cigno è un violino bianco, quasi egli giungesse a salvare Elsa sulle ali della musica. In scena una barca, che diventa all’occorrenza altare e talamo nuziale, e due alberi, uno sul palco e uno in platea, quasi a collegare le vicende dei personaggi a quelle del pubblico, un cavo unisce infatti i due alberi. Le scene sono di Johannes Leiacker.

Lohengrin appare dunque in fondo all’orchestra, posta in verticale dietro i cantanti; è un musicista vestito di bianco, e si avanza verso il proscenio portando con sé il suo bianco violino. È questo il suo cigno: la musica è il suo araldo e la sua guida. Il concetto si rivela alla fine quando Lohengrin abbandona Elsa e ritorna proprio in orchestra, lasciando al futuro duca del Brabante, non una spada ma un corno, una bacchetta da direttore e degli spariti musicali. La musica dunque salverà il Brabante, Elsa e gli spettatori collegati agli interpreti dal filo indissolubile che lega i due alberi.

Forte e convincente simbologia quella ideata da Katherina Thoma, in cui il Graal a cui tutti agognano è la musica, che idealmente unisce spettatori e interpreti sotto le fronde verdi della natura ispiratrice. Non per niente la malvagia Ortrud alla fine cercherà invano di tagliare quest’albero con una sega circolare. Regia compiuta e coerente, che dà il suo meglio nei rimandi simbolici. Qualche difficoltà si riscontra invece sul lato recitativo, ben riuscito con cantanti naturalmente spigliati e consapevoli, ottima in questo caso la Ortrud di Dshamilja Kaiser; ma meno incisivo ove il cantante non dispone di proprie doti attoriali. In particolare i due protagonisti, la Elsa di Christina Nilsson e il Lohengrin di AJ Glueckert sono sembrati spesso impacciati e non a fuoco scenicamente.

Nel complesso comunque molto positiva l’impressione generale, con alcune scelte molto efficaci, quali mettere in scena i trombettieri imperiali, l’utilizzo dei bambini a rimando dell’infanzia negata, ma anche una certa ironia nel gestire il pezzo più famoso dell’opera: quella marcia nuziale che ormai è più che famosa, quasi famigerata, per colpa di un utilizzo pletorico e incessante in ogni occasione.

Titus Engel dirigeva con piglio e con classici accenti wagneriani l’ottima orchestra dei Tiroler Festspiele, riuscendo a far suonare l’ensemble con buon amalgama timbrico e un’efficace calibrazione fra orchestra e cantanti. Una bella prova quella di Engel che si conferma uno dei direttori più interessanti del momento. Un plauso particolare deve andare alla bravissima Ortrud di Dshamilja Kaiser, che ci regala acuti sontuosi, timbrati, precisi e taglienti; un fraseggio elegante e consapevole, sempre sull’accento e sulla parola wagneriana. Una prova maiuscola la sua quest’estate ad Erl, avendo interpretato ad altissimo livello tutte e tre le produzioni presenti, ma coronando le sue performance con una Ortrud da ricordare. Il soprano svedese Christina Nilsson era Elsa di Brabante. Con voce sicura e adamantina, la Nilsson delinea una Elsa delicata e ingenua, che non delude vocalmente, ma che necessità ancora di ulteriore affinamento per una parte ingrata e complessa. AJ Glueckert era Lohengrin. Il tenore americano sfoggia una bella voce, ben impostata, corretta; spesso fin troppo diligente nell’interpretazione, risulta alla fine non completamente a fuoco, come fosse sempre un mezzo passo indietro. “Im fernen Land” è ben risolta, evitando forzature o banali imitazioni. Purtroppo in difficoltà il baritono Andrew Foster-Williams – interprete di Friederich von Telramund –, che, pur dotato di una voce interessante e timbrata, è sembrato da subito affaticato, concludendo la recita in tono minore. Splendida e pastosa voce di basso per Andreas Bauer Kanabas, che ha dato al Re Heinrich der Vogeler i giusti accenti, sfoggiando un legato curato e una sonorità profonda e timbrata in tutto il registro. Un maiuscolo Heinrich der Vogeler per lui. Il baritono sloveno Domen Krizaj era un araldo sicuro e ben impostato. Completavano degnamente il cast i nobili brabantini: Samule Levine, David Kerber, Oliver Sailer e Nicolas Legoux.

Successo convinto e unanime per tutti gli interpreti a fine serata.

R. Malesci (23/07/21)