Dopo una breve apparizione lo scorso anno al festival di Benevento, fa la sua comparsa sulle ribalte italiane “The country” di Mar...
Dopo una breve apparizione lo scorso anno al festival di Benevento, fa la sua comparsa sulle ribalte italiane “The country” di Martin Crimp, opera di uno dei più interessanti drammaturghi inglesi contemporanei.
Il testo racconta di una coppia che, per fuggire dall’atmosfera opprimente della città, sceglie di trasferirsi in campagna, ma questa soluzione non porta beneficio in quanto anche in questa nuova realtà riaffiorano i drammi e le angosce che si credevano lasciati alle spalle. La campagna è quindi un luogo di fuga fittizio, in cui le immagini di pace e di serenità costantemente evocate alla fine non risultano altro che illusori tentativi di raggiungere un equilibrio che non è possibile.
Il tipo di scrittura rimanda al cosiddetto “linguaggio dell’incomunicabilità” molto radicato nella recente tradizione teatrale inglese ed evidenti sono, soprattutto nella prima parte, le assonanze stilistiche con Pinter. Crimp si differenzia però da quest’ultimo per un uso meno ermetico e più lirico del linguaggio, per cui, attraverso una grande ricchezza nelle metafore, ed un uso più sperimentale della parola, nonostante la tematica affrontata sia tutt’altro che positiva e rassicurante le dinamiche appaiono meno rigide rispetto a quelle pinteriane.
L’allestimento di Lievi risolve abilmente questo contrasto di “campagna opprimente” inserendo gli attori all’interno di una stanza chiusa, disegnata da Josef Frommweiser, che nonostante sia illuminata da luci estremamente intense e diffuse, curate da Gigi Saccomandi, suscita una sensazione di claustrofobia. L’atmosfera è quindi estremamente solare ma si tratta di una luminosità che non arriva dall’esterno, anzi, la sensazione che si ha è quella di chiusura, di alienazione da una realtà circostante che presenta caratteristiche opposte, quasi ostili, e quindi questa condizione di algida perfezione che traspare dalla scenografia trasmette un’idea di armonia ricreata artificialmente, attraverso l’isolamento. Ed anche nell’ultima scena, quando si spalanca l’enorme finestra sul fondo (la finestra: elemento spesso ricorrente negli spettacoli di Lievi) il panorama che appare risulta troppo perfetto ed asettico per dare una sensazione di conforto o comunque di vera apertura verso l’esterno. In realtà, anche il finale, non fa altro che confermare quest’impressione di una felicità illusoria basata sull’ipocrisia e sul compromesso.
Dal punto di vista dell’interpretazione la scelta è stata di ricorrere ad una recitazione abbastanza distaccata ed impersonale, come nella miglior tradizione del teatro inglese contemporaneo, mentre per quanto concerne l’aspetto fisico si è optato per movimenti ed azioni di stampo più naturalistico. In alcuni passaggi, a mio avviso, si è percepito un certo attrito tra questi due aspetti, soprattutto nella seconda parte in cui un uso meno costretto della parola non avrebbe sicuramente infastidito.
Ottimi gli attori ed in particolare Carla Chiarelli che delinea una Corinne estremamente intensa e ricca di accenti soprattutto nella scena con la giovane Rebecca, in cui emerge in modo maiuscolo il contrasto tra la ragazzina e la donna tradita e ferita nel profondo. Leonardo de Colle riveste i panni di un Richard quasi assente nel rapporto con la moglie ed incapace di affrontare sino in fondo la situazione creatasi con la giovane amante interpretata da una brava Francesca Bracchino, la quale, pur dando a tratti l’impressione di essere sforzata nei momenti di rudezza e sfacciataggine, risulta nel complesso convincente.
Estremamente suggestiva la scelta di intervallare i vari quadri di cui è composta l’azione dal chiudersi ed aprirsi di un sipario (sulle bellissime note del Fire Requiem di Nicholas Lens) su cui viene di volta in volta proiettata un’istantanea che riproduce fedelmente l’ultima azione portata sulla scena, quasi a volerne cristallizzare l’immagine per creare un senso di continuità con quello che segue.
Lo spettacolo, dopo la pausa natalizia, riprenderà al Teatro Santa Chiara dall’8 al 27 gennaio 2002.
Vale la pena di sfruttare l’occasione e di non perderlo.
Davide Cornacchione 11/12/2001