Recensioni - Opera

Lucia di Lammermoor alla Scala: nuovo paradigma contemporaneo

Un cast d’eccezione per riportare in vita il capolavoro donizettiano nella sua versione integrale

Inizialmente prevista per l’inaugurazione della Stagione d’Opera 2020 e purtroppo cancellata causa Covid, questa travagliata produzione scaligera di Lucia di Lammermoor debutta sulle tavole del Piermarini a tre anni di distanza, ripagando la lunga attesa con un’esecuzione ai limiti del paradigmatico a livello musicale, grazie al cast stellare coinvolto e a una direzione curata in ogni minimo dettaglio. Nondimeno, è altissimo anche l’interesse filologico dell’edizione critica proposta dal Maestro Riccardo Chailly in quest’occasione (la Dotto-Parker consegnata a Ricordi nel 2009), che ci permette finalmente di ascoltare dal vivo l’originale versione del 1835 nella sua interezza, recuperando il testo integrale e riaprendo tutti i tagli. Una scelta importante non solo per riscoprire pagine di grande bellezza frequentate di rado nel corso degli anni, ma anche per una visione globale più completa sui protagonisti, sui loro aspetti controversi e sull’evoluzione psicologica di ciascun personaggio, riscoprendo quest’opera nella sua vera essenza.

Chailly ci fa ascoltare un Donizetti crudo, cupo, a tratti spietato, ripulito dagli eccessivi orpelli e variazioni vertiginose affollatesi nella tradizione, in favore di una lettura più schietta e drammaticamente umana. Un risultato straordinario veicolato principalmente dalla varietà timbrica che il Maestro riesce a spremere dall’Orchestra scaligera, specchio dei molteplici stati d’animo che trasudano dalla partitura.

Un contesto musicale profondo e articolato che diventa terreno fertile su cui Lisette Oropesa - con la sua insuperata intelligenza d’interprete - riesce a costruire un’intensissima Lucia a tutto tondo, mossa da un climax di passione, speranza, rabbia, dolore, abbandono, straniamento e allucinazione. Impossibile selezionare singole arie degne di menzioni puntuali: sconvolge anzi la performance nella sua totalità artistica, la capacità di incarnare la protagonista e modellarla nella sua trasfigurazione emotiva continua con inquietante credibilità, trovando il culmine nella grande Scena della Pazzia (qui accompagnata dalla glassarmonica come da indicazione originale, con una resa sonora ancor più alienante). La calda e fascinosa vocalità di natura lirica del soprano cubano-americano dà ulteriore sostanza alla sua prova, pur non mancando certo di solidità nelle colorature fra trilli e sovracuti luminosi, come anche nei frequenti pianissimi a fil di voce.

Al suo fianco ascoltiamo nientemeno che il belcanto di Juan Diego Florez, che con la sua consueta eleganza vocale e scenica tratteggia un Edgardo apollineo, raffinato nel fraseggio, tanto misurato quanto intenso. Se il volume vocale del tenore – oggettivamente ai limiti dell’udibile in alcuni pezzi d’insieme - può rappresentare un ostacolo all’interno di una sala così ampia, troviamo che sia un fattore di ben poco rilievo a fronte di un’interpretazione complessiva di questo livello (scroscianti infatti gli applausi al termine delle sue due arie finali che lo vedono protagonista solitario nell’ultimo atto).

Boris Pinkhasovich è un Enrico che trasuda viscida perfidia, dando una forma più che credibile al suo ruolo di glaciale antagonista. Il baritono russo sfoggia una linea di canto sempre composta e pulita, con ottimo legato e voce sempre ben proiettata. Particolarmente riusciti lo straziante duetto con Lucia nel primo atto e il duetto con Edgardo nella Scena della Torre, feroce confronto tra i due rivali purtroppo spesso tagliato in altre produzioni.

Michele Pertusi si disimpegna con esperienza nel ruolo di Raimondo, che in questa edizione critica trova più spazio riuscendo a dare una visione più completa del personaggio in tutte le sue ambiguità. Particolarmente affascinanti le pagine inedite che anticipano l’ingresso di Lucia dopo l’omicidio, in perfetta sintonia con il Coro ben istruito da Alberto Malazzi.

Ottimi anche Leonardo Cortellazzi (Arturo), Valentina Pluzhnikova (Alisa) e Giorgio Misseri (Normanno) nei ruoli minori, completando al meglio questo cast d’eccezione.

Una serata così centrata a livello musicale merita più che in altre occasioni una cornice adeguata (questione mai banale), auspicabilmente senza troppe interferenze di sovrastrutture registiche, chiavi di lettura alternative o altri elementi di disturbo a distogliere l’attenzione dal capolavoro donizettiano nella sua versione integrale. Va fortunatamente in questa direzione la regia di Yannis Kokkos (che firma anche scene e costumi), all’insegna della sobrietà. Pochi elementi essenziali a caratterizzare i diversi ambienti, tutti avvolti in un incombente sfondo nero che non traspone l’opera in contesti contemporanei ma punta ad astrarla in un non-tempo, a sottolinearne l’eternità e il valore per tutti noi ancora oggi. Altro punto d’attenzione è l’agilità dei cambi scena, che intelligentemente favorisce un flusso più che mai continuo dell’esecuzione, per apprezzare al meglio il racconto musicale di pagina in pagina, quasi senza soluzione di continuità: un raro esempio di una regia non tradizionale in senso storico, ma ugualmente all’incondizionato e totale servizio della partitura.

Al termine successo al calor bianco per tutti gli interpreti, con ovazioni per Oropesa, Florez e Chailly. Consigliamo di non perdere le ultime repliche: 26 e 29 aprile, 2 e 5 maggio.

Camilla Simoncini