Recensioni - Opera

Macbeth in Francese a Parma

Buona edizione nel complesso del capolavoro giovanile verdiano

Il Festival Verdi di Parma propone la versione in lingua francese del Macbeth di Giuseppe Verdi in una nuova produzione diretta da Roberto Abbado e firmata per la regia dal francese Pierre Audi, coadiuvato dalle scene di Michele Taborelli e dai costumi di Robby Duiveman.

La scelta di proporre la versione francese data a Parigi nel 1865 a cura di Charles Louis Étienne Nuitter e Alexandre Beaumont non cambia a nostro avviso sostanzialmente la fruizione dell’opera, restando sullo sfondo più come curiosità linguistica che altro.

Singolare poi la messa in scena di Pierre Audi, che si delinea come un’erma bifronte, con i primi due atti ambientati nella sala di un teatro che specchia la cavea del regio. Teatro nel teatro che scompare senza lasciare traccia nei due atti conclusivi, risolti in modo decisamente più convenzionale con il classico fondale illuminato, inquadrato da una scenografia stilizzata a forma di grata.

Se l’ambientazione iniziale stimola qualche richiamo simbolico e solletica la curiosità sui significati a cui potrebbe alludere il regista, ogni aspettativa viene vanificata dopo l’intervallo. Infatti nel terzo e quarto atto prevale lo scontato e il già visto. L’allestimento nel suo complesso si lascia guardare e la regia risolve efficacemente sia l’iniziale scena delle streghe che diversi movimenti del coro, avvalendosi di una pedana idraulica a centro palco che permette di sfalsare i livelli e di far scomparire o comparire velocemente le incalzanti situazioni del dramma. L’atmosfera è cupa, i costumi altrettanto. Quest’ultimi spaziano fra lo storico e il contemporaneo, non sfigurano certo, ma da lì al convincere ce ne passa.

I ballabili sono risolti in modo convenzionale, con i due protagonisti ridotti a mimi e quattro ballerini che fungono da doppio sullo sfondo. Lo stesso dicasi per le apparizioni. Qualche idea invece per le streghe, che all’inizio entrano nella finta cavea teatrale e sembrano un cupo pubblico che assiste alle vicende dei protagonisti. Oppure lo sprazzo interessante di mostrare il Re Duncan per un momento nel finto palco reale del teatro, ci si chiede però perché non andare fino in fondo e utilizzare anche la vera sala teatrale.

Insomma tutto scorre abbastanza liscio e senza intoppi, ma nulla convince veramente e tantomeno incanta. Alla fine si ha come l’impressione che qualcosa sia mancato, forse il tempo, forse le prove, forse un progetto drammaturgico convincente. Tutto è stato risolto con professionalità e senza particolari inciampi, ma l’impressione generale lascia una certa confusione e la sensazione di aver assistito ad un affastellarsi di cose già viste.

Dal punto di vista musicale spicca la direzione decisa e sanguigna di Roberto Abbado, che cesella la partitura con la giusta forza romantica e ricava un buon amalgama dalla Filarmonica Arturo Toscanini e dal coro del Teatro Regio di Parma. Una bella e appassionata lettura per lui.

Lidia Fridman convince appieno come Lady. Forte di un fisico adatto al ruolo e di un’indole algida e distaccata, il soprano russo delinea un personaggio perfetto per alterigia e perfidia, particolarmente nei primi due atti. Il canto è facile e preciso, svetta all’acuto senza difficoltà e scende con attenzione i gravi, che, se pur mancano del timbro corrusco richiesto dalle note di petto, sono anch’essi molto ben gestiti. Ottima anche la scena del sonnambulismo, salutata da un lungo applauso.

Sugli scudi anche Ernesto Petti nel ruolo del titolo. Il baritono salernitano convince a pieno per accento, fraseggio e potenza vocale. Sorvegliata ma adeguata anche la parte scenica. Luciano Ganci è stato un Macduff di bello squillo nella sua aria. Di gran lusso il Banquo di Michele Pertusi.

Professionale tutto il resto del cast: David Astorga, Natalia Gavrilan, Rocco Cavalluzzi, Eugenio Maria Degiacomi, Agata Pelosi e Alice Pellegrini.

Grandi applausi nel finale.

Raffaello Malesci (Domenica 6 Ottobre 2024)