Recensioni - Opera

Macerata: Don Giovanni arriva in taxi

Interessante messa in scena di Davide Livermore che riadatta per lo Sferisterio il suo spettacolo presentato ad Orange nel 2019

Al piccolo festival di Macerata va il merito di avere comunque allestito una delle poche opere in forma scenica che si possono vedere questa estate in Italia. Questa è una cosa non da poco in una situazione difficile come l’attuale sia per i teatri che per tutto il comparto artistico.

Don Giovanni resta l’unica opera a essere presentata in forma scenica. Cancellata la prevista Tosca, mentre il Trovatore viene dato in forma di concerto. Candidamente il regista Davide Livermore confessa che la ripresa dello spettacolo, che ha debuttato a Orange lo scorso anno, doveva essere affidata ai suoi assistenti. Ma a causa delle cancellazioni di altri suoi spettacoli, Macerata ha avuto l’onore della presenza dell’importante regista in persona.

Anche per Orange lo spettacolo era stato concepito per un grande spazio aperto, senza scenografie ma con il determinante apporto di efficaci videoproiezioni che sono state prontamente adattate dallo spazio dello sferisterio. In scena solo uno sgangherato taxi giallo che assieme a Don Giovanni e Leporello diventa praticamente il terzo protagonista in un continuo andare e venire dal palco con tanto di sgommate e qualche manovra azzardata. Don Giovanni e Leporello arrivano con la loro utilitaria gialla alla fine dell’overture e, fuggendo dall’inviperita Donna Anna, vengono sorpresi dal Commendatore, che in stile mafioso arriva su di un suv nero con tanto di guardie del corpo. Il confronto avviene a suon di pistolettate, ma con la particolarità che anche Don Giovanni viene ferito nel duello, cade a terra, si rialza prontamente, ma al suo posto giace ora esanime una controfigura identica a lui.

Forse Don Giovanni è già morto e rivive la sua vita? Forse è ferito e negli ultimi istanti rivede le sue avventure? La cosa non viene esplicitata se non dal fatto che Don Giovanni, quando vede il suo alter ego morto, viene preso da convulsioni e le proiezioni impazziscono in una sorta di nevrosi del protagonista che si esplicita nelle immagini. L’idea in generale non è peregrina e ben si potrebbe adattare alla messa in scena sostanzialmente contemporanea, senonché dal secondo atto questo fondamentale riferimento si perde: sparisce la controfigura e Don Giovanni ritorna sano come un pesce e senza più incubo alcuno.

Nel finale si ripete identica la scena iniziale del duello e questa volta Don Giovanni completa l’agonia interrotta all’inizio dell’opera e cade esanime a terra, ovviamente nello stesso punto, dopo essere stato ben sballottato da diavoli in mascherina e voile nero.

Livermore inanella molte buone idee: il catalogo fotografico delle belle di Don Giovanni proiettate in modo efficace sull’immensa parete di fondo, oppure la serenata di Don Giovanni con lo sfondo poetico di un cielo stellato. Maiuscolo anche il banchetto finale, trasformato in un’orgia pansessuale con uomini e donne infoiati che tanto fanno inorridire la povera Donna Elvira.

Resta però netta l’impressione che le prove siano state poche e che qualcosa si sia perso per strada sia dal punto di vista della drammaturgia che della coerenza scenica. Approssimativa anche la preparazione scenica dei cantanti che spesso sono risultati impacciati e meccanici nell’assolvere le richieste della regia.

Belle le proiezioni affidate a D-WOK, mentre meno convincenti e confusionari i costumi che citano e rimandano varie epoche in maniera poco pregnante sia dal punto di vista estetico che intellettuale. In mezzo al nulla della scena e nel via vai del nostro taxi giallo che funge anche da alcova, nascondiglio, pedana e molto altro ad un certo punto arriva anche una carrozza ottocentesca con tanto di cavallo con a bordo le “vezzose mascherette” in bauta del settecento. In verità non si capisce molto il perché, ma ci fidiamo di quello che diceva il grande maestro Zeffirelli: una carrozza soprattutto se con cavallo vero fa sempre spettacolo. Zeffirelli però, bontà sua, ne avrebbe messi almeno quattro di cavalli…

Dal punto di vista degli interpreti il cast risulta omogeneo e di buon livello. Don Giovanni è il baritono Mattia Olivieri che ben si difende nella non facile parte del burlador. Olivieri sfoggia una voce impostata e omogenea che unita ad una schietta baldanza atletica fa di lui l’interprete ideale per la parte. In questo messa in scena però sembra non riesca a trovarsi pienamente a suo agio e gli difetta ancora il piglio sfrontato del mattatore. Leporello è affidato ad un corretto ma non magnetico Tommaso Barea. Masetto è Davide Giangregorio che giustamente gioca sugli accenti comici del personaggio. Corretto ma contenuto e prudente il Don Ottavio di Giovanni Sala. Più coraggiose le donne nel buttare la voce in scena e prendersi qualche rischio ben ripagato dal risultato e dal favore del pubblico. Donna Elvira è la brava Valentina Mastrangelo che sfoggia una bella voce e una spigliatezza scenica notevole. Si impone per l’ampiezza della voce e la sicurezza sugli acuti Karen Gardeazabal nella non facile parte di Donna Anna. Un gradino su tutti la Zerlina di Lavinia Bini che canta con voce adamantina e timbrata, tutta giocata sui fiati e sugli accenti. Inoltre l’interprete gioca efficacemente con le caratteristiche civettuole del suo personaggio e fa della sua naturale avvenenza un fattore scenico determinante. Classica con accenti cameristici la direzione di Francesco Lanzillotta.

Nel finale applausi calorosi per tutti.

R. Malesci

(26/07/2020)