Recensioni - Opera

Macerata: la compagnia di canto riscatta una Norma statica

Documentaristica e senza idee la messa in scena di Maria Mauti

Unico titolo non pucciniano di quest’anno, il Festival Maceratese allo Sferisterio affida la nuova produzione di Norma di Vincenzo Bellini a Maria Mauti, coadiuvata per i costumi da Nicoletta Ceccolini e per le scene da un team di architetti.

Purtroppo è proprio la messa in scena il punto debole di questa edizione, riscattata in parte dalla buona compagnia di canto, che però ha faticato non poco ad emergere in una regia statica, documentaristica e senza idee.

Maria Mauti organizza uno spazio sostanzialmente vuoto, ove campeggiano quattro anonime scalinate scure con tanto di ringhiera, spostate a vista per creare vari ambienti in realtà tutti molto simili. A completare una luna posticcia sul grande muro dello sferisterio, non proprio un guizzo di originalità. I costumi di Nicoletta Ceccolini sono anonimi e convenzionali.

In sostanza si tratta di un concerto in costume con i cantanti per lo più immobili a proscenio e il coro disposto a gruppi. I pochi guizzi di movimento sanno di scontato, come il telo bianco mosso da alcune ballerine durante il “casta diva”, soluzione abusata in qualsiasi saggio di danza che si rispetti. Oppure i druidi, che entrano con tanto di ramo frondoso in mano, ricordando più l’arrivo della foresta di Birnam che una qualsiasi evocazione magica o ieratica.

Ciò che affossa ogni parvenza di teatralità è la forzata immobilità dei cantanti, inchiodati per decine di minuti a proscenio a cantare rivolti al pubblico. Come se non bastasse alcune cabalette sono disturbate dal contemporaneo spostamento a vista delle strutture da parte di macchinisti con tanto di cuffie per le comunicazioni. La regia è talmente scolastica da mancare qualsiasi accenno ad una relazione drammatica fra i personaggi. Così la noia prevale e la pur volonterosa compagnia di canto, praticamente abbandonata a sé stessa, fatica non poco a salvare la serata.

Non aiuta nemmeno la direzione di Fabrizio Maria Carminati, lenta, spesso lamentosa, senza la giusta tensione drammatica nelle cabalette e nei pezzi di furore. Il direttore non riesce ad imprimere slancio all’Orchestra Filarmonica Marchigiana, accentuando ancora di più la staticità che regna sul palcoscenico.

Peccato perché la compagnia di canto si difende molto bene anche se inevitabilmente penalizzata dalla regia, soprattutto nelle scene di contrasto e di furore in cui ci sarebbe stato spazio e capacità per esprimere dei vivaci e appassionati contrasti drammatici che poi sono il sale del teatro.

Marta Torbidoni è una Norma volitiva e appassionata, supera di slancio le asperità della parte e convince per una linea di canto nitida e sicura. Lo stesso dicasi per l’Adalgisa di Roberta Mantegna, che delinea una linea di canto più suadente, precisa e senza incertezze. Certo di personaggi non si può parlare, ma qui la colpa non è attribuibile agli interpreti.

Statuario il Pollione di Antonio Poli. Il giovane tenore ha voce da vendere, timbro accattivante e tecnica sorvegliata. Qua e là abbiamo notato qualche forzatura, ma con una regia degna di questo nome il cantante avrebbe tutte le caratteristiche per essere un interprete convincente.

Sottotono l’Oroveso di Riccardo Fassi, che, pur corretto e preciso, difetta dello spessore vocale richiesto dalla parte. Completavano il cast Carlotta Vichi e Paolo Antognetti.

Raffaello Malesci (Venerdì 26 Luglio 2024)