Magistrale messa in scena del regista canadese, vibrante direzione di Simone Young
Il Teatro alla Scala azzecca un grande spettacolo con Peter Grimes di Benjamin Britten, affidando la regia a Robert Carsen e la direzione d’orchestra a Simone Young.
Il regista legge a fondo la partitura e la drammaturgia e ne ricava un affresco umano livido, impietoso, in cui la massa soverchia e annichilisce il singolo fino a condurlo, colpevole o innocente che sia, ad una morte ingiusta, tragica, imposta.
L’azione è tutta ambientata in un luogo chiuso, una sorta di magazzino del pesce, dotato di poche porte e sovrastato da un incombente muro bianco su cui vengono proiettate immagini che sono visioni, allucinazioni del protagonista. Peter Grimes è chiamato a processo per la morte del suo apprendista. Tutto il paese – la massa – si ritrova nel grande salone, fa quadrato intorno al colpevole, chiuso in una sorta di banco degli imputati che è prigione e nel finale diventerà la barca del suicidio di Peter. Una gabbia che non è solo fisica, ma mentale e sociale.
Tutto è incentrato su una visione simbolica dell’oppressione, la massa è sempre compatta, il protagonista sempre isolato. Colpevole o semplicemente invischiato in circostanze accidentali, il paese ne ha già decretato l’isolamento, perché Peter Grimes è un outsider, un solitario, un uomo rude, sicuramente violento.
Un diverso insomma, questo interessava a Britten e questo Carsen simboleggia in modo limpido nella sua regia. Il pubblico non sa se parteggiare per Peter Grimes, troppi i dubbi sulla sua colpevolezza, ma certo non può parteggiare per la folla, che opprime non per moralismo o per sete di giustizia, ma solo perché Grimes non è funzionale alla forza omologante della massa.
La folla parla sempre insieme, o impegnata nella pulizia meccanica del pesce, altra grande scena d’effetto; o perché compatta nella processione e nelle preghiere in chiesa; o, ancora, perché uniformata nel divertimento stereotipato delle gozzoviglie da osteria. La forza crudele della massa si rende palpabile nel terzo atto in cui tutti si mettono alla caccia di Peter con delle torce e sulla musica tesa, ritmata e crudele di Britten illuminano il pubblico, lo accecano. Il messaggio è chiaro e semplice: ognuno di noi potrebbe essere dalla parte sbagliata della barricata, ognuno di noi potrebbe diventare una preda, un Peter Grimes della situazione. Scena fortissima, iconica, scioccante.
Pochi personaggi sembrano aver la forza di uscire da questo schema: Ellen che forse spera di redimere Peter con l’amore; il Capitano Ballstrode, che spera in una possibile conciliazione, ma a cui, alla fine, dopo la morte del secondo apprendista, non resta che suggerire a Peter il suicidio in mare.
Peter Grimes si inabissa con la propria barca. Dopo però non ritorna la pace, ma si ripropone la situazione iniziale: la sala del processo, la massa nella stessa posizione e al banco degli imputati un altro uomo, un'altra vittima designata. Il gioco al massacro ricomincia: il potere della massa contro la diversità del singolo. Il potere della massa contro le minoranze.
Una regia illuminante, sobria, scarna, pregnante. Un capolavoro di scavo drammaturgico.
Simone Young dirige in maniera sublime, esaltando la modernità drammatica della musica di Britten, sia negli scoppi di fragore che nel ripiegarsi a sonorità più lievi nelle ballate affidate al coro, in una sorta di quadro tradizionale che cela la grettezza di un borgo inferocito. Grande prova anche del coro del Teatro alla Scala, diretto da Alberto Malazzi, che asseconda perfettamente la tensione drammatica della musica del compositore britannico.
Superlativo nell’insieme il cast, formato per lo più da specialisti che hanno grande dimestichezza con questo repertorio. Su tutti l’inarrivabile Peter Grimes di Brandon Jovanovich, intenso e crudele allo stesso tempo; capace senza sforzo apparente di modulare un canto teso, drammatico, sempre sulla parola e con intenzioni sceniche accurate e credibili. Una prova superba per il cantante attore statunitense.
Nicole Car è una Ellen Orford di duttile intensità drammatica, esprime appieno la complessità e le contraddizioni del suo personaggio grazie ad una tecnica vocale ineccepibile. Ottimo anche il Balstrode di Olafur Sigurdarson, dotato di buona presenza scenica e di ottima aderenza al personaggio, a cui dona una voce chiara, armonica e ben calibrata nel fraseggio.
Tutto il numeroso stuolo di comprimari è da lodare per la preparazione e credibilità scenica, unita ad un canto sicuro e coerente con i rispettivi personaggi. Così abbiamo la Auntie volgare e provocante di Margaret Plummer, affiancata dalle due disinibite nipoti di Katrina Galka e Tineke Van Ingelgem. Il Bob Boles violento e volgare di Michael Colvin, lo Swallow lascivo e burocrate di Peter Rose, la petulante e impicciona Mrs. Sedley di Natascha Petrinsky e l’ambiguo reverendo Adams di Benjamin Hulett. Completano ulteriormente il cast i pescatori di Leigh Melrose, William Thomas, Ramtin Ghazavi, Eleonora de Prez, oltre ai validi interventi di numerosi solisti del coro scaligero. Una menzione speciale anche a Tommaso Axel Versari che impersona in modo convincente la parte mimica dell’apprendista di Grimes.
Sala discretamente affollata e grande successo nel finale per una delle migliori produzioni scaligere di questa stagione.
Raffaello Malesci (Martedì 24 ottobre 2023)