La regia, nel solco della tradizione, ha sottolineato gli aspetti fondamentali dell'opera di Dvořák. Impreziosita da una bellissima lettura orchestrale e da un cast notevole, l'opera è stata accolta calorosamente dal pubblico milanese.
A Milano, al Teatro alla Scala per la prima volta è stata allestita Rusalka di Antonín Dvořák. L’opera, rappresentata per la prima volta 122 anni fa a Praga il 31 marzo del 1901, è stata eseguita poche volte in Italia, motivo per cui le repliche milanesi costituivano un appuntamento di grande interesse.
In questa fiaba romantica ispirata alla mitologia slava -Rusalka è uno spirito dell'acqua dei laghi e dei fiumi- Emma Dante ha impostato una regia che sottolinea sia le componenti romantiche, sia quelle grottesche che caratterizzano il racconto. Nell'amore che il Principe e la ninfa Rusalka nutrono l'uno per l'altra si riflette una storia che mette in scena l'impossibilità per due individui di superare lo scontro di culture e l’incomunicabilità che si creano tra i due mondi. Il freddo algido del mondo acquatico da cui proviene la giovane ninfa, suggerito qui dal fondo del lago, contrasta con il presunto caldo mondo degli umani cui Rusalka aspira. Questo mondo rimane inaccessibile per lei, che può solo assistere al fuoco della passione che anima il Principe e la Principessa Straniera, che vengono rappresentati come l'ardore futile di un mondo votato all'apparenza e all'illusione.
La scenografia di Carmine Maringola nel primo atto è costituita dai ruderi di un’imponente cattedrale gotica le cui le vetrate coloratissime sono richiamate nel costume della strega Ježibaba. Al centro, una vasca riempita di acqua ed illuminata (il lago) i cui riflessi si proiettano sul soffitto. Alla fine del primo atto, un gigantesco amo dorato scende dall’alto: Rusalka, cui le ninfe hanno tagliato i tentacoli che aveva al posto delle gambe, vi si aggrappa per non cadere ed aiutata dalle ondine, inizia a camminare sui suoi piedi ancora malfermi. La strega infatti le dona l’uso delle gambe al posto dei tentacoli ormai diventati inutili per il mondo degli umani, chiedendole però in cambio la sua voce. Nel secondo atto una parete di piante, su cui si arrampicano delle figure ricoperte di foglie fa da sfondo al duetto tra il guardiacaccia e lo sguattero. Poi la parete si solleva lasciando apparire una grande stanza del castello del Principe tutta sulle tonalità del blu acqua. È in particolare in questa scena che il sublime si fonde al grottesco: mentre viene lasciata in un angolo dal Principe invaghito della Principessa Straniera, Rusalka, costretta a constatarne il tradimento, vede il suo doppio dapprima frastornato dai mercuriali invitati in costumi fantasiosi color rosa confetto e quindi portato via a braccia mentre altri ospiti banchettano con i resti dei tentacoli che una volta erano le sue gambe.
Il terzo atto mostrerà il ritorno del Principe nel mondo acquatico del primo in cui le ondine si esibiscono in una scena di nuoto sincronizzato, come già avevano fatto nel primo atto mentre dei mimi in costume da cervo piroettano intorno al principe, disperato e senza pace dopo che Rusalka ha lasciato il mondo degli umani. Rusalka, che nel frattempo ha perso le gambe, è tornata sulla sedia a rotelle e, malgrado la sua debolezza, si trascina nei pressi della piscina-stagno, bacia il principe e lo uccide, mentre il padre, in un finale tutt’altro che lieto, le ricorda che il sacrifico non la redime comunque. Le efficaci coreografie sono opera di Sandro Maria Campagna, i costumi sgargianti sono stati disegnati da Vanessa Sannino mentre le luci di Cristian Zucaro danno un tocco di inquietante magia.
In questo universo di grande bellezza in cui due mondi si incontrano ma senza realmente compenetrarsi, la cui ambientazione si rifà idealmente all’estetica dell’epoca in cui fu scritta l'opera, si muovono personaggi più o meno fantastici, che sembrano ispirati all’immaginario neogotico di un Tim Burton. Sagome scure e inquietanti, umani vestiti di nero e rosso cremisi, ninfe, lo Spirito delle acque in rosso con le braccia a forma di lunghi tentacoli; Rusalka in rosa con gli stessi tentacoli del padre al posto della gambe che la costringono su di una sedia rotelle, quasi ad enfatizzare la sua inerzia e inabilità a raggiungere il mondo degli umani, Ježibaba, con una corona dorata, la principessa straniera in rosso vivo, mentre al principe è riservato un costume popolare ceco, con mantellina a fiori e stivaletti.
È una lettura tradizionale, forse un po’ kitsch, quella di Rusalka che Emma Dante realizza, con il lago, i boschi, il sipario di piante ed il castello principesco, ma questo è solo l’aspetto estetico di un’interpretazione tesa a svelare i significati reconditi del testo in chiave simbolica: Rusalka ed il suo doppio nel secondo atto; l’amo come elemento di contatto tra il mondo delle favole e quello degli umani; i tentacoli di Rusalka e dello Spirito delle acque che li legano al loro mondo liquido.
La produzione scaligera si avvale di un’ottima interpretazione dal punto di vista musicale, sia da parte dei protagonisti che dei comprimari. Olga Bezsmertna, già applaudita Principessa di Parma nel recente Doktor Faust del Maggio Musicale Fiorentino, si conferma interprete attenta e sensibile, grazie ad un timbro morbido e un fraseggio ricco e screziato. Il principe di Dmitry Korchak ha voce molto bella, corposa sia nei centri che negli acuti ed un timbro chiaro e luminoso. Jongmin Park è lo spirito dell’acqua, che sottolinea la bonomia del padre affettuoso grazie ad un’emissione sempre morbida ed espressiva, con il malinconico e doloroso lamento: il “tema della sventura” che ricorre come un Leitmotiv. Okka von der Damerau è una Ježibaba dalla voce sontuosa e dal fraseggio morbido ed espressivo.
La principessa straniera, interpretata da Elena Guseva, si cala bene nel ruolo della principessa straniera sprezzante ed altera. Grazie alla sua vocalità imponente crea un personaggio incisivo sul palcoscenico e molto credibile. Le tre ninfe del bosco: Hila Fahima, Jukiana Grigoryan e Valentina Pluzhnikova hanno sfoggiato una buona musicalità, come gli ottimi Svetlina Stoyanova, il garzone di cucina, e Jiři Rajniš, il guardiacaccia, che hanno dato vita a dei duetti estremamente coinvolgenti e di grande efficacia. Ilya Silchukou, il cacciatore, nella sua canzone, ha espresso un legame profondo con la natura nel malinconico andante melodioso.
Il coro diretto da Alberto Malazzi si è egregamente esibito nell’allegretto grazioso “Lungo la strada, fiori bianchi son fioriti” con una ritmata spigliatezza melodica.
Sotto la direzione intensa e focosa del direttore d'orchestra ceco Tomáš Hanus, l'orchestra ha svelato i fasti strumentali di una partitura fortemente ispirata alla scrittura wagneriana, ma che conserva tuttavia le sue specificità mutuate dal folklore slavo. Una serata molto riuscita, calorosamente celebrata da un pubblico entusiasta in un teatro sold out.